Giornalisti, operatori, fotografi e producer: «Una comunità unità da una missione»

L’udienza del Papa agli operatori della comunicazioni accreditati in Vaticano. «Grazie per la delicatezza grande con cui parlate degli scandali della Chiesa»

Papa Francesco è tornato a ricevere i giornalisti che quotidianamente informano sulla Chiesa e sul Vaticano. Lo ha fatto questa mattina, 22 gennaio, nella Sala Clementina, quasi undici anni dopo l’udienza concessa ai giornalisti che avevano seguito il Conclave in cui venne eletto nel 2013. Il pontefice, che al termine ha salutato uno per uno i circa 150 professionisti membri dell’Associazione internazionale dei giornalisti accreditati presso il Vaticano (Aigav), ha voluto ringraziare chi rende questo servizio: «Vi do il benvenuto, anche se qua siete di casa! Sono contento: questa è per me un’occasione per ringraziare voi, che siete un po’ i miei compagni di viaggio, per il lavoro che svolgete informando lettori, ascoltatori e spettatori sull’attività della Santa Sede».

Il Papa ha definito giornalisti, operatori, fotografi e producers «una comunità unita da una missione. Conosco la vostra passione, il vostro amore per ciò che raccontate, la vostra fatica. Essere giornalista è una vocazione, un po’ come quella del medico, che sceglie di amare l’umanità curandone le malattie. Così, in un certo senso, fa il giornalista, che sceglie di toccare con mano le ferite della società e del mondo. È una chiamata che nasce da giovani e che porta a capire, a mettere in luce, a raccontare. Vi auguro di tornare alle radici di questa vocazione, di farne memoria, di ricordare la chiamata che vi unisce in un compito così importante».

Francesco ha sottolineato anche la «necessità di coltivare un amore incondizionato alla verità» e ha espresso «gratitudine non solo per ciò che scrivete e trasmettete, ma anche per la costanza e la pazienza di seguire giorno dopo giorno le notizie che arrivano dalla Santa Sede e dalla Chiesa» come pure «per i sacrifici nel seguire il Papa in giro per il mondo e nel lavorare spesso pure la domenica e i giorni di festa. Vi devo chiedere scusa per le volte in cui le notizie che in diverso modo mi riguardano vi hanno sottratto alle vostre famiglie, al gioco con i vostri figli e al tempo da trascorrere con i mariti o con le mogli». Quindi ha citato la prefazione di Luigi Accattoli al libro di Giovanni Tridente “Diventare vaticanista” per definire una professione per molti aspetti unica: «Un mestiere veloce fino a risultare spietato, due volte scomodo quando si applica a un soggetto alto come la Chiesa, che i media commerciali inevitabilmente portano al loro livello di mercato». Tuttavia, una specializzazione sempre affascinante: «Nonostante le difficoltà – ha detto il Papa – è un bell’incoraggiamento: amare l’uomo, imparare l’umiltà».

Il Papa ha anche ringraziato per «la delicatezza che tante volte avete nel parlare degli scandali nella Chiesa: ce ne sono e tante volte ho visto in voi una delicatezza grande, un rispetto, un silenzio quasi, dico io, “vergognoso”: grazie di questo atteggiamento. Vi ringrazio per lo sforzo che fate nel mantenere questo sguardo che sa vedere dietro l’apparenza, che sa cogliere la sostanza, che non vuole piegarsi alla superficialità degli stereotipi e delle formule preconfezionate dell’informazione-spettacolo, le quali, alla difficile ricerca della verità, preferiscono la facile catalogazione dei fatti e delle idee secondo schemi precostituiti. Vi incoraggio ad andare avanti in questo cammino che sa coniugare l’informazione con la riflessione, il parlare con l’ascoltare, il discernimento con l’amore».

Il rischio, infatti, è quello di deformare l’immagine della Chiesa, sotto l’influsso dell’ideologia o della spettacolarizzazione: «Non è facile, ma sta qui la grandezza del vaticanista, la finezza d’animo che si aggiunge alla bravura giornalistica – ha aggiunto il Papa -. La bellezza del vostro lavoro attorno a Pietro è quella di fondarlo sulla solida roccia della responsabilità nella verità, non sulle sabbie fragili del chiacchiericcio e delle letture ideologiche; sta nel non nascondere la realtà e anche le sue miserie, senza edulcorare le tensioni ma al tempo stesso senza fare clamori inutili, bensì sforzandosi di cogliere l’essenziale, alla luce della natura della Chiesa». Ed ha concluso ricordando che la Chiesa «ha ancora del cammino da compiere per comunicare meglio: con la testimonianza, prima ancora che con le parole».

22 gennaio 2024