Stato di emergenza in Ecuador, i vescovi: «Non cadiamo nel panico sterile»

8 morti e 2 feriti il bilancio delle violenze a Guayaquil, epicentro dell’ondata di violenza che attraversa il Paese. Il presidente Noboa ha dichiarato il «conflitto armato interno»

A integrazione del decreto con cui ha introdotto uno stato di emergenza nel Paese per 60 giorni, il presidente dell’Ecuador Daniel Noboa ha firmato ieri, 9 gennaio, anche il decreto sulla dichiarazione di «conflitto armato interno», nel quale ha elencato la presenza sul territorio nazionale di ben 21 gruppi del crimine organizzato transnazionale, definiti «organizzazioni terroristiche e attori non statali belligeranti». In questo contesto, l’articolo 3 del decreto dispone «l’immediata mobilitazione e intervento delle forze armate e della polizia sul territorio ecuadoriano per garantirne la sovranità e l’integrità». Elencati anche, nel dettaglio, i gruppi dei quali si ordina l’identificazione dei membri e la neutralizzazione. Intanto il ministero della Salute ha disposto la sospensione a data da destinarsi di tutti i servizi ambulatoriali, ricoveri e interventi chirurgici programmati, sottolineando che saranno garantiti solo i servizi di emergenza negli ospedali.

A motivare la dichiarazione del presidente Noboa, l’invasione, nel pomeriggio di ieri, di un gruppo di uomini armati e incappucciati in uno studio della tv pubblica, in diretta, a Guayaquil, epicentro da mesi delle violenze, e attacchi simultanei in diverse città, dopo la fuga dal penitenziario di Guayaquil di Macias, detto “Fito”, e a tre giorni dall’arresto di Fabricio Colon Pico, boss dei Los Lobos, accusato dalla procuratrice generale Diana Salazar di volerla uccidere. Incidenti che hanno provocato almeno 10 morti e 3 ferite. 8 le vittime accertate – e 2 i feriti – a Guayaquil, città portuale dell’Ecuador, epicentro dell’ondata di violenza generalizzata che attraversa il Paese andino. Le vittime, ha riferito il sindaco Aquiles Alvarez in una conferenza stampa, sono state registrate nel corso di diversi attacchi contro la popolazione civile e contro la polizia, nel corso della giornata di ieri, 9 gennaio. Arrestate in tutto 14 persone. E la città si prepara al secondo giorno di coprifuoco, in vigore dalle 23. Il trasporto su gomma e la circolazione sono sospese, mentre l’accesso all’aeroporto – che resta aperto – è limitato alle persone in possesso di biglietto. Le aree sensibili e i penitenziari sono circondati dalle forze armate.

Per il presidente Noboa, si tratta della prima grande crisi di sicurezza a meno di due mesi dal suo insediamento. Registrati incidenti in almeno 6 carceri, incentivati dallo stesso Pico con l’obiettivo di evitare il trasferimento nel carcere di massima sicurezza a La Roca. L’Ecuador, comunque, è da anni attraversato da un’ondata di violenza difficile da arrestare. Basti pensare che solo nel 2023 si contano almeno 4.500 omicidi. E la criminalità organizzata ha nel frattempo stretto accordi con i più potenti cartelli internazionali, da quelli messicani a quelli albanesi.

L’Assemblea nazionale dell’Ecuador ha espresso il suo sostegno alle forze armate e di polizia del Paese. In una dichiarazione pubblica, firmata dai rappresentanti di tutti i partiti, il Parlamento – che ieri era stato evacuato a causa dei disordini, così come tutti gli uffici pubblici della Capitale Quito – ha precisato che il sostegno include l’adozione di indulti e/o amnistie nei casi necessari per garantire il lavoro degli addetti alla pubblica sicurezza. Ancora, il Congresso ha appoggiato l’azione del governo in materia di sicurezza per ripristinare la pace e l’ordine nel territorio nazionale, oltre a chiedere che i responsabili delle evasioni dal carcere siano individuati e puniti. «La situazione attuale – sono le parole dei parlamentari – richiede collaborazione e coesione. Siamo impegnati ad affrontare questa sfida in modo responsabile e comune».

Il Paese è a un passo dalla guerra civile. I militari sono in strada, mentre si moltiplicano i saccheggi dei centri commerciali. Reiterati gli appelli a rimanere a casa, mentre c’è chi segnala bande di criminali che stanno cercando di fare irruzione nelle università per catturare degli ostaggi. Anche il Consiglio presidenziale della Conferenza episcopale ecuadoriana (Cee) fa appello all’unità, alla pace e alla fraternità. «Non cadiamo nel panico sterile che fa il gioco dei violenti dando credito a qualsiasi immagine allarmistica condivisa sui social network», esortano i vescovi nel loro messaggio, intitolato “La violenza non prevarrà”. Al tempo stesso, chiedono di non cadere «nell’ingenuità di arrendersi, credendo che questa lotta sia solo per coloro che ci governano».

Nel rifiutare la violenza, «da qualsiasi parte provenga», la Cee afferma che le attuali circostanze eccezionali «devono trovarci uniti, con lo sguardo rivolto al futuro e con la forza necessaria per rendere l’Ecuador ciò che è sempre stato, un luogo di pace, di lavoro, di fraternità». Al contempo, si legge ancora nel documento dei vescovi, «qualsiasi attività in contrasto con la legge, a qualsiasi livello della società e dello Stato, deve essere considerata un tradimento della patria, dei valori più sacri della nostra identità ecuadoriana e di Dio, che sarà il giudice delle nostre vite». L’esortazione è a ritrovare la fraternità, e quindi la pace. «Siamo un Paese di fede – ricordano i presuli -. Fin da bambini abbiamo imparato che siamo tutti fratelli, chiamando Dio nostro Padre». Affidata quindi alla preghiera «l’integrità di ogni buon ecuadoriano e la stabilità dello Stato come garanzia che la pace ritorni al più presto».

10 gennaio 2024