Una marcia per non dimenticare la deportazione degli ebrei romani

Al Portico d’Ottavia la fiaccolata organizzata da Sant’Egidio e Comunità ebraica di Roma. Andrea Riccardi: «Segno di speranza per il futuro»

Al Portico d’Ottavia la fiaccolata organizzata da Comunità di Sant’Egidio e Comunità ebraica di Roma. Andrea Riccardi: «Segno di speranza per il futuro»

Le note de La Vita è bella, composta dal musicista Nicola Piovani, scaldano il Portico d’Ottavia. Lì settantadue anni fa, il 16 ottobre del 1943, 1259 ebrei romani, di ogni età, furono presi e trascinati via. Era un sabato. Due giorni dopo, vennero portati alla stazione Tiburtina e, da lì, condotti verso i campi di sterminio. Tornarono solo in 16. Da 22 anni la Comunità di Sant’Egidio, insieme alla Comunità ebraica di Roma, organizza una marcia per ricordare quel giorno, alla quale partecipano anche molti bambini e giovani delle scuole romane. Non solo una marcia silenziosa, ma anche l’occasione per ribadire quanto «sia necessario separare la cultura della vita da quella della morte».

Così Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane: «Ogni esitazione rischia di creare pericoli», ribadisce facendo riferimento all’escalation di violenza in Israele. « È bene – aggiunge – che l’opinione pubblica prenda coscienza della minaccia che incombe su Israele, unica democrazia del Medio Oriente, spesso nell’indifferenza della comunità internazionale». Ricordare il passato significa fare gesti concreti verso chi soffre, come gli immigrati. «È il momento di prendersi responsabilità importanti. Per questo, attraverso l’Ospedale israelitico e la comunità di Sant’Egidio, stiamo andando incontro alle diverse esigenze manifestate dai profughi con visite oculistiche, screening, assistenza sanitaria» dice la presidente della Comunità ebraica romana Ruth Dureghello. Presente anche Maria Elena Boschi, ministro delle Riforme costituzionali. «Conoscere il passato – sottolinea – significa capire meglio il presente e scongiurare rischi futuri di nuove tragedie». In quei giorni – aggiunge – si è rotto un argine di umanità, si è scavato un abisso: dobbiamo impegnarci tutti a ricostruire quell’argine perché non è detto che quanto avvenuto in passato non possa ripetersi».

Anche il vescovo Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, ricorda come il grido di dolore di ieri sia vivo anche oggi, denunciando che «non si sta levando abbastanza la voce per i profughi». Il segretario generale della Cei, usando le parole del premio Nobel Elie Wiesel, sottolinea: «L’opposto di amore non è odio ma indifferenza». E aggiunge: «Bisogna costruire ponti tra le culture e le fedi che arricchiscono la famiglia umana. I migranti non vengono a toglierci lavoro e a sparigliare le carte della nostra vita, ma anzi aiutano a darci un orizzonte diverso. «Gli occhi dei perseguitati e dei rifugiati di oggi – conclude – sono gli stessi di quel 16 ottobre di settantadue anni fa». Alle parole di monsignor Galantino fanno eco quelle di Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma. «Lo scenario evocato dal 16 ottobre ’43 – dice – incombe ancora oggi, non è finito. E il rischio che si possano ripetere tragedie del genere è sempre presente e non riguarda solo gli ebrei. Dobbiamo essere vigili».

Il fondatore della Comunità di Sant’Egidio Andrea Riccardi ricorda come condividere questa memoria sia segno di amicizia e speranza per il futuro. E aggiunge: «Da sempre siamo convinti che non bisognava lasciare soli gli ebrei nel loro giorno di dolore, quel 16 ottobre, ma condividerlo. Nella crisi della città – aggiunge -, nelle solitudini delle periferie, nella lontananza di tante istituzioni e di fronte alla bolla della politica, questi fatti di popolo esprimono la voglia di condividere dolori e valori dell’altro, come una vera comunità di destino che si chiama Roma. Roma che ha voglia di vivere insieme. Questa è una speranza. Perché per Roma c’è speranza grazie a tanta gente coraggiosa, umana». Alla marcia sono presenti anche il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, il vice sindaco di Roma capitale, Marco Causi, e il prefetto di Roma, Franco Gabrielli.

19 ottobre 2015