Il Papa risponde ai cinque “dubia” dei cardinali

La richiesta di chiarimento, nel luglio scorso, e la replica, sul sito del dicastero per la Dottrina della fede. «Ci sono diversi modi di esporre la dottrina»

L’interpretazione della Divina Rivelazione, la benedizione delle unioni con persone dello stesso sesso, la sinodalità come dimensione costitutiva della Chiesa, l’ordinazione sacerdotale delle donne e il pentimento come condizione necessaria per l’assoluzione sacramentale. Ruotano attorno a queste questioni i 5 “dubia” presentati al Papa nel luglio scorso dai cardinali Brandmüller, Burke, Sandoval Íñiguez, Sarah e Zen Ze-kiun. Dubbi, appunto, domande alle quali Francesco ha risposto, in spagnolo, tramite il sito del dicastero per la Dottrina della fede.

Riguardo al primo “dubium”, relativo all’affermazione che si debba reinterpretare la Divina Rivelazione in base ai cambiamenti culturali e antropologici in voga, il Papa spiega che  «la risposta dipende dal significato che attribuite alla parola “reinterpretare”. Se è intesa come “interpretare meglio” – chiarisce -, l’espressione è valida. In questo senso, il Concilio Vaticano II affermò che è necessario che, con il lavoro degli esegeti – e aggiungo, dei teologi -, “maturi il giudizio della Chiesa”», afferma citando la Dei Verbum. Pertanto, «se è vero che la Divina Rivelazione è immutabile e sempre vincolante, la Chiesa deve essere umile e riconoscere di non esaurire mai la sua insondabile ricchezza e di avere bisogno di crescere nella sua comprensione. Di conseguenza, cresce anche nella comprensione di ciò che essa stessa ha affermato nel suo Magistero».

Vale a dire che «i cambiamenti culturali e le nuove sfide della storia non modificano la Rivelazione, ma possono stimolarci a esprimere meglio alcuni aspetti della sua traboccante ricchezza che offre sempre di più». Ed è «inevitabile», per il pontefice, che «ciò possa portare a una migliore espressione di alcune affermazioni passate del Magistero, ed è infatti successo così lungo la storia. È vero che il Magistero non è superiore alla Parola di Dio, ma è anche vero che sia i testi delle Scritture che le testimonianze della Tradizione necessitano di un’interpretazione che permetta di distinguere la loro sostanza perenne dai condizionamenti culturali». Tra gli esempi, il Papa cita alcuni testi biblici e interventi magisteriali che tolleravano la schiavitù, o alcune considerazioni del Nuovo Testamento sulle donne e «altri testi delle Scritture e testimonianze della Tradizione che oggi non possono essere ripetuti così come sono». E aggiunge: «Ciò che non può cambiare è ciò che è stato rivelato per la salvezza di tutti». Per questo la Chiesa «deve discernere costantemente ciò che è essenziale per la salvezza e ciò che è secondario o è meno direttamente connesso a questo obiettivo».

Ancora, «una sola formulazione di una verità non potrà mai essere adeguatamente compresa se viene presentata solitaria, isolata dal ricco e armonioso contesto dell’intera Rivelazione». Ciò può portare a «diversi modi di esporre la stessa dottrina» e «tale varietà aiuta a manifestare e a sviluppare meglio i diversi aspetti dell’inesauribile ricchezza del Vangelo», come si legge nell’Evangelii gaudium: «Ogni corrente teologica ha i suoi rischi, ma anche le sue opportunità».

Sulla benedizione delle coppie omosessuali – la seconda domanda dei cardinali – Bergoglio ha puntualizzato che «la Chiesa ha una concezione molto chiara del matrimonio: un’unione esclusiva, stabile e indissolubile tra un uomo e una donna, naturalmente aperta a generare figli. Solo questa unione si può chiamare matrimonio. Altre forme di unione lo realizzano solo “in modo parziale e analogico”, per cui non possono essere chiamate strettamente “matrimonio”». La Chiesa evita quindi «qualsiasi tipo di rito o sacramentale che possa contraddire questa convinzione e far intendere che si riconosca come matrimonio qualcosa che non lo è». Tuttavia, «nel rapporto con le persone, non si deve perdere la carità pastorale, che deve permeare tutte le nostre decisioni e atteggiamenti. La difesa della verità oggettiva non è l’unica espressione di questa carità, che è anche fatta di gentilezza, pazienza, comprensione, tenerezza e incoraggiamento. Pertanto, non possiamo essere giudici che solo negano, respingono, escludono».

Nell’analisi del Papa, «la prudenza pastorale deve discernere se ci sono forme di benedizione  che non trasmettano un concetto errato del matrimonio», perché «quando si chiede una benedizione, si sta esprimendo una richiesta di aiuto a Dio, una supplica per poter vivere meglio, una fiducia in un Padre che può aiutarci a vivere meglio. Sebbene ci siano situazioni che dal punto di vista oggettivo non sono moralmente accettabili, la stessa carità pastorale ci impone di non trattare semplicemente come “peccatori” altre persone la cui colpa o responsabilità può essere attenuata da vari fattori che influenzano l’imputabilità soggettiva». Questo tipo di decisione però non deve diventare norma. «Non è opportuno – è la precisazione – che una diocesi, una Conferenza episcopale o qualsiasi altra struttura ecclesiale abiliti costantemente e ufficialmente procedure o riti per ogni tipo di questione, poiché tutto “ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma”», secondo le parole della Amoris laetitia. «Il diritto canonico non deve né può coprire tutto, e nemmeno le Conferenze episcopali con i loro documenti e protocolli variati dovrebbero pretenderlo, poiché la vita della Chiesa scorre attraverso molti canali oltre a quelli normativi», è la tesi di Francesco.

Riguardo alla sinodalità – il terzo “dubium” -, menzionando la Novo millennio ineunte di Giovanni Paolo II il pontefice ha ribadito che, «come stile e dinamismo, è una dimensione essenziale della vita della Chiesa. Altra cosa è sacralizzare o imporre una determinata metodologia sinodale che piace a un gruppo, trasformarla in norma e percorso obbligatorio per tutti, perché ciò porterebbe solo a “congelare” il cammino sinodale ignorando le diverse caratteristiche delle diverse Chiese particolari e la variegata ricchezza della Chiesa universale», il chiarimento alla vigilia  dell’apertura del Sinodo sulla sinodalità.

Ancora, alla questione dell’ordinazione sacerdotale delle donne la replica è stata che «il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale differiscono essenzialmente». Pertanto, «non è opportuno sostenere una differenza di grado che implichi considerare il sacerdozio comune dei fedeli come qualcosa di seconda categoria o di minor valore, un grado più basso – la puntualizzazione -. Entrambe le forme di sacerdozio si illuminano e si sostengono reciprocamente». Il riferimento è, ancora una volta, Giovanni Paolo II, di cui Bergoglio ricorda l’insegnamento sulla necessità di «affermare “in modo definitivo” l’impossibilità di conferire l’ordinazione sacerdotale alle donne». In quelle parole, «in nessun modo stava denigrando le donne e conferendo un potere supremo agli uomini. San Giovanni Paolo II affermò anche altre cose. Ad esempio, che quando parliamo della potestà sacerdotale “siamo nell’ambito della funzione, non della dignità e della santità”. (Christifideles laici, 51). Sono parole che non abbiamo accolto a sufficienza. Affermò anche chiaramente che sebbene solo il sacerdote presieda l’Eucaristia, i compiti “non danno luogo alla superiorità di alcuni sugli altri” (Christifideles laici, nota 190; cfr. Congregazione per la dottrina della fede, Dichiarazione Inter Insigniores, VI). Affermò anche che, se la funzione sacerdotale è “gerarchica”, non deve essere intesa come una forma di dominio, ma “è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo” (Mulieris dignitatem, 27)». Se tutto questo non viene compreso, «sarà difficile accettare che il sacerdozio sia riservato solo agli uomini e non potremo riconoscere i diritti delle donne o la necessità che esse partecipino, in vari modi, alla guida della Chiesa».

L’ultima domanda dei cardinali è sul pentimento come condizione necessaria per l’assoluzione sacramentale. Francesco conferma che «il pentimento è necessario per la validità dell’assoluzione sacramentale e implica l’intenzione di non peccare. Ma qui non c’è matematica – aggiunge – e devo ricordare ancora una volta che il confessionale non è una dogana. Non siamo padroni, ma umili amministratori dei sacramenti che nutrono i fedeli, perché questi doni del Signore, più che reliquie da custodire, sono aiuti dello Spirito Santo per la vita delle persone». Oltretutto, «ci sono molti modi di esprimere il pentimento». Sulla scorta dell’Amoris laetitia, il Papa ammette che «a volte ci costa molto dare spazio nella pastorale all’amore incondizionato di Dio ma si deve imparare. Seguendo san Giovanni Paolo II, sostengo che non dobbiamo richiedere ai fedeli propositi di correzione troppo precisi e sicuri, che alla fine finiscono per essere astratti o addirittura narcisisti, ma anche la prevedibilità di una nuova caduta non pregiudica l’autenticità del proposito». L’ultimo chiarimento: «Tutte le condizioni che di solito si pongono nella confessione generalmente non sono applicabili quando la persona si trova in una situazione di agonia o con le sue capacità mentali e psichiche molto limitate».

3 ottobre 2023