Mattarella: don Milani, «testimone coerente e scomodo»

Il presidente della Repubblica è intervenuto il 27 maggio a Barbiana, all’apertura delle celebrazione per il centenario della nascita. «La Costituzione, suo vangelo laico»

C’era anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sabato scorso, 27 maggio, a Barbiana, all’aperura delle celebrazioni per il centenario della nascita di don Lorenzo Milani. E del Priore ha ricordato anzitutto il concetto della scuola come «motore primo delle idee di giustizia e uguaglianza». Il merito, ha evidenziato, «non è l’amplificazione del vantaggio di chi già parte favorito. Merito è dare nuove opportunità a chi non ne ha, perché è giusto, e anche per non far perdere all’Italia talenti; preziosi se trovano la possibilità di esprimersi, come a tutti deve essere garantito». E proprio la scuola si pone come «leva per contrastare la povertà. Anzi, le povertà», ha affermato il Capo dello Stato, aggiungendo che «non a caso oggi si usa l’espressione “povertà educativa” per affermare i rischi derivanti da una scuola che non riuscisse a essere veicolo di formazione del cittadino. La scuola per conoscere. Per imparare, anzitutto, la lingua, per poter usare la parola». Perché «la povertà nel linguaggio è veicolo di povertà completa, e genera ulteriori discriminazioni».

Nell’analisi di Mattarella, «la scuola, in un Paese democratico, non può non avere come sua prima finalità e orizzonte l’eliminazione di ogni discrimine». E proprio la “Lettera a una professoressa”, «scritta con i suoi ragazzi mentre avanzava la malattia – che lo avrebbe portato via a soli 44 anni – è un atto d’accusa, impietoso, di tutto questo». Una «lezione impartita a fronte delle pigrizie del sistema educativo», che «ha spinto a cambiare, ha contribuito a migliorare la scuola nel mezzo di una profonda trasformazione sociale del Paese. La scuola è di tutti. La scuola deve essere per tutti», ha continuato il presidente, richiamando del Priore «la sua pedagogia della libertà». La scuola di Barbiana, ha continuato, «invitava a saper discernere», richiamando «quel primato della coscienza responsabile, che spinse don Milani a rivolgere una lettera ai cappellani militari, alla quale venne dato il titolo “L’obbedienza non è più una virtù” e che contribuì ad aprire la strada a una lettura del testo costituzionale in materia di difesa della Patria per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza».

Delle parole di don Milani Mattarella ha evidenziato la «radicalità evangelica». Anzi, «l’autenticità evangelica», ha precisato citando l’intervento del cardinale presidente della Cei Matteo Zuppi. «Sapeva di avere in mano un testimone. Un testimone che doveva passare di mano, a cui poi i suoi ragazzi “aggiungessero” qualcosa». Nelle parole del presidente della Repubblica, è stato «un grande italiano che, con la sua lezione, ha invitato all’esercizio di una responsabilità attiva. Il suo “I care” è divenuto un motto universale. Il motto di chi rifiuta l’egoismo e l’indifferenza». Quindi, il capo dello Stato ha ricordato anche un’altra espressione cara al Priore di Barbiana, meno conosciuta: «”Finché c’è fatica, c’è speranza”. La società, senza la fatica dell’impegno, non migliora – ha commentato -. Impegno accompagnato dalla fiducia che illumina il cammino di chi vuole davvero costruire. Don Lorenzo ha percorso un vero cammino di costruzione. E gli siamo riconoscenti».

Don Milani, insomma, «è stato anzitutto un maestro. Un educatore. Guida per i giovani che sono cresciuti con lui nella scuola popolare di Calenzano prima, e di Barbiana poi. Testimone coerente e scomodo per la comunità civile e per quella religiosa del suo tempo. Battistrada di una cultura che ha combattuto il privilegio e l’emarginazione, che ha inteso la conoscenza non soltanto come diritto di tutti ma anche come strumento per il pieno sviluppo della personalità umana». Così lo ha ritratto Mattarella, secondo cui l’essere stato «un segno di contraddizione» significa che «ha adempiuto alla funzione che più gli stava a cuore: far crescere le persone, far crescere il loro senso critico, dare davvero sbocco alle ansie che hanno accompagnato, dalla scelta repubblicana, la nuova Italia. Nella sua inimitabile azione di educatore, pensava, piuttosto, alla scuola come luogo di promozione e non di selezione sociale», ha sottolineato.

In una Barbiana senza luce elettrica né strade asfaltate, «in tempi lontani dalla globalizzazione e da internet – ha concluso il capo dello Stato -, il messaggio di don Milani si è propagato con forza fino a raggiungere ogni angolo d’Italia; e non soltanto dell’Italia». Don Milani «aveva un senso fortissimo della politica – ha aggiunto -. Se il Vangelo era il fuoco che lo spingeva ad amare, la Costituzione era – mi permettano i cardinali presenti – il suo vangelo laico». Lo testimonia il suo insegnamento «strettamente legato con la fede che professava: prima di ogni altra cosa, il rispetto e la dignità di ogni persona. Qui si intrecciano il don Milani prete, l’educatore, l’esortatore all’impegno».

29 maggio 2023