Estimità, quando il privato dilaga sui social

L’urgenza di una riflessione sul continuo infierire, attraverso il digitale, su realtà delicate e vitali come la scuola, i giovani e la famiglia, date in pasto al giudizio feroce e diffuso

Che cosa penso del noto video, tanto discusso in questi giorni, della mamma che inveisce contro la scuola mentre dà le spalle al figlio che piange? Anzitutto penso che sia essenziale fare passare il tempo minimo necessario – a tutti, nessuno escluso, nessuna esclusa – per disarmare la molla violenta del posizionamento umorale ed emotivo e che oggi si polarizza naturalmente nell’indifferibile commento social a caldo. Fatto questo, al riparo dalla ridda delle sentenze, provo la sofferenza per l’intimità di una casa, in un momento delicato – la difficoltà di un figlio -, violata di spalle con l’apertura di una falla attraverso il telefono, attraverso la quale irromperà la valanga dei giudizi, delle parole di troppo, della rabbia sociale che sedimenta in sentenze. La stessa sofferenza che non mi vergogno di confessare per ognuno degli oramai infiniti video che hanno violato una classe in un momento difficile, un docente o una docente che non ce la fa, uno studente o studentessa che inveiscono o subiscono. Penso alla fragilità di quella madre comunque in difficoltà, ai giorni successivi di quel figlio, penso ai docenti e alle docenti che rimarranno schiacciati a lungo da tanti altri video, al peso di troppo portato da studenti e studentesse e che va oltre, scarta di lato nelle bolle, a fronte dell’adulto e sacrale confronto con le responsabilità che esige la realtà.

Ma penso anche a Serge Tisseron, psicanalista francese, che ha coniato nel 2001 il termine extimité e che in italiano possiamo tradurre con estimità. Si tratta di un termine già usato da Lacan (con un significato diverso), utilizzato da Bauman, presente nella lingua latina e della quale abbiamo conservato intimus ma perduto il suo opposto extimus. Tisseron lo usò la prima volta riferendosi al giorno in cui, negli anni Ottanta, una donna aveva rivelato in una trasmissione tv dettagli dolorosi della propria vita intima coniugale, dandola volutamente in pasto a un agone mediatico. In seguito, Tisseron avrebbe esteso il termine di estimità all’uso e soprattutto all’abuso del privato nella vita di relazione digitale, ponendo l’attenzione sull’impulso (spesso narcisistico e autoconfermativo) di rendere pubblici elementi della vita intima, al fine di enfatizzarli e cristallizzarli attraverso le reazioni e i commenti.

Ecco, pur non rinnegando nulla della civiltà digitale e continuando a ritenerla un’opportunità, credo che il punto sia proprio lì. Al di là delle fragilità, delle mancanze, delle colpe dei protagonisti di turno, l’errore e la distorsione dei significati e quindi della realtà mi pare si annidino proprio in questa perdita del senso dell’intimità che annega oramai ovunque nel suo opposto: nella pervasività dell’estimità. Anche se poi, a dire il vero, quell’ovunque mi pare sia un infierire che riguarda sempre più spesso luoghi ben precisi, sistematicamente messi in primo piano: la scuola, i giovani, la famiglia.

Sul perché proprio queste realtà, delicate, vitali, e proprio per questo esigenti di tutta l’intimità e la sapienza possibili, siano sistematicamente dati in pasto, consapevolmente o meno, al giudizio feroce e diffuso, al vilipendio e alla grettezza degli istinti più bassi che si reiterano e si moltiplicano nella rete, ecco, sul perché proprio queste realtà siano così messe alla prova, credo occorrerebbe riflettere con estrema attenzione e senso critico.

22 marzo 2023