Ron, l’ultimo lavoro dedicato al padre

Intervista al cantautore, che il 30 marzo fa tappa a Roma con il nuovo tour, all’Auditorium Conciliazione. Dalla riscoperta dei genitori alla “generatività artistica”. Il debutto a Sanremo a 16 anni

«Sono un figlio venuto al mondo per amore in un tempo dove tutto era da fare …. questo tempo io lo vivo per la forza di mio padre / e per quel cuore sempre in viaggio di mia madre / me lo tengo stretto come una catena che anche a me adesso tocca riparare / perché è unica e insostituibile troppe volte impossibile / ma val la pena portarsela addosso / la vita ci sorprende così tanto… così tanto». I versi del brano che dà il titolo all’ultimo album di inediti di Ron e al suo tour teatrale appena partito – “Sono un figlio”, appunto – rappresentano bene lo stato di grazia che sta vivendo l’artista pavese. Classe 1953, festeggia con l’occasione i 50 anni di una carriera (ormai 52) che conta 41 pubblicazioni (23 album in studio, 4 dischi live e 14 raccolte), 8 partecipazioni al Festival di Sanremo con una vittoria (insieme a Tosca) e una vittoria al Festivalbar e tante canzoni memorabili scritte per sé e per i grandi interpreti italiani, da Lucio Dalla a Francesco De Gregori.

L’ultimo lavoro inedito, a otto anni di stanza dal precedente, è dedicato a suo padre, e si apre con la canzone omonima “Sono un figlio”. Per la prima volta Ron racconta di papà Savino e della storia d’amore dei suoi genitori, nata durante la seconda guerra mondiale. Papà Savino aveva conosciuto mamma Maria rifugiandosi a casa sua: gli aveva salvato la vita, e lui se ne era innamorato. Per Ron quindi il ricordo di una storia vissuta per arrivare al concetto di amore, rivelando con delicatezza i racconti che aveva ascoltato da ragazzo dai suoi genitori, i dettagli di una vita dura ma piena di sogni da realizzare.

Con il nuovo tour, che farà tappa a Roma il prossimo 30 marzo all’Auditorium della Conciliazione, sarà possibile ascoltare dal vivo molti brani del nuovo album (tra cui, la canzone che gli dà il titol, Abitante di un corpo celeste, Più di quanto ti ho amato, I gatti, Diventerò me stesso) ma anche le canzoni più popolari e amate e alcune delle hit che scrisse per illustri colleghi (tra cui Joe Temerario, Vorrei incontrarti fra cent’anni, Anima, Il gigante e la bambina, Chissà se lo sai, Una città per cantare, Non abbiam bisogno di parole, Piazza Grande), con le proposte raramente dal vivo, ma molto richieste dal pubblico: è il caso di Al centro della musica, Per questa notte che cade giù, Io ti cercherò, Palla di cannone (cover di Cannonball di Damien Rice) e Mi sto preparando (cover di I’m getting ready di Michael Kiwanuka). Canzoni che confermano il talento, la sensibilità e l’eleganza di un indiscusso protagonista della musica d’autore del nostro Paese. Arrangiamenti essenziali e testi in primo piano, per uno show “confidenziale”, che riflette un album molto intimo, in cui l’artista si con un linguaggio semplice ed empatico.

Artista generoso a tutto tondo, per questo nuovo tour Ron ha voluto dare la possibilità di esibirsi sul suo palco ad alcuni giovani autori e cantautori che hanno collaborato all’album “Sono un figlio”: Giulio Wilson (che ha firmato con Ron il brano I Gatti) apre i concerti di Prato, Roma, Lecce, Taranto, Pescara; Santoianni (che ha scritto le canzoni Questo vento e Fino a domani) quelli di Bologna e Brescia. Sul palco con Ron (alla chitarra, pianoforte e voce) ci saranno Giuseppe Tassoni (piano e tastiere); Roberto Di Virgilio (chitarre); Roberto Gallinelli (basso); Matteo Di Francesco (batteria) e Stefania Tasca (voce).  Tra una tappa e l’altra del tour ci dedica il suo tempo per un’intervista a tutto tondo.

Come stai e che periodo è per te?
Bene, è un periodo molto bello. Mi sento uno che cammina, nel senso che non sono uno che sta in casa a far nulla. Le cose vengono proprio perché stai in mezzo alla gente. Sono contento di quello che ho fatto e di quello che sto facendo adesso. Stiamo promuovendo con un concerto un album che di questi tempi è sembrato strano. Molti mi hanno chiesto: “Come mai un album intero alla vecchia maniera?”. È che mi piace ancora fare un album con una storia e non solo uscire con una canzone singola.

Io invece ti chiedo perché un album dedicato a tuo padre proprio adesso?
Ho capito che molte volte ci si guarda indietro, ma poi, soprattutto quando si è giovani, ci si dimentica delle cose. Invece in questo caso, mentre facevo questo disco, è venuto fuori questo mio diario che tenevo da ragazzino, dove c’è proprio il racconto che mi fecero i miei genitori del loro incontro e di quel periodo, e ho deciso di musicarlo. Per me “Sono un figlio” è una canzone importante perché i miei genitori sono importanti per me. Io già intorno ai 12/13 anni ho cominciato a dire ai miei che volevo cantare, fino a che, mi ricordo, una sera ho fermato la cena per dirglielo in maniera seria. E loro mi hanno sostenuto e mi hanno detto: «Si vede che hai questa passione dentro, ma le canzoni falle bene!».

Essere figlio è anche una metafora?
Sì, sai io mi sento figlio anche di un pubblico, di chi mi ha seguito in questi anni. Essere figli vuol dire avere un’empatia forte con gli altri, con le persone che spendono anche soldi per venirti a vedere, anche in momenti in cui magari non vendi dischi o ci sono altri problemi. Questo mi fa sentire figlio. Mi piace la parola figlio.

L’aver voluto tanti giovani a collaborare con il nuovo album, come il cantautore fiorentino Giulio Wilson o Leo Gassman, è un modo di sentirsi anche, in qualche modo, padre?
Beh, io ho prodotto il primo album di Biagio Antonacci (“Sono cose che capitano”, 1989, ndr), mi piaceva questo ragazzo che faceva il carabiniere a Garlasco, vicino a dove vivo. Mi è sembrato subito una persona fantastica. Ma poi ho prodotto anche Marco Armani, che cantava benissimo e mi piaceva l’idea, perché io sono molto innamorato della musica. Non lo faccio per mestiere o per soldi, ho bisogno di entrare nel mondo delle persone che stimo e dare quello che so dare.

Possiamo definirla una “generatività artistica”?
L’hai definita molto bene!

Tra le tante canzoni d’amore, sempre molto poetiche, mi ha colpito anche Abitante di un corpo celeste. Qual è il messaggio che volevi far arrivare?
Siamo in un mondo confuso e incasinato, un po’ triste, il Covid ci ha fatto molto male. Tutti dicevano “saremo migliori”, ma quando mai? Questa canzone che mi è arrivata da Guido Morra. Non l’ho capita subito. Poi ci siamo confrontati e ho capito che siamo in un mondo in cui giriamo troppo intorno a noi stessi, molta gente raramente va oltre sé stessa, o è disposta a dare una mano agli altri. E anche durante lo spettacolo, guardo la platea e dico: “Caro extraterrestre, verrai a cercarmi, spero, che io qua non capisco più niente, cosa faccio, se sbaglio” e alla fine dico di girare intorno al sole che almeno è una cosa pulita, che ci fa bene, ci rinfranca.

Il tuo è un racconto maturo, ma come vedi tu il Ron di 50 anni fa e quello di adesso?
Ho debuttato a Sanremo nel 1970, avevo 16 anni e rivedo un Rosalino con una forza spaventosa. Oggi quando torno al Festival me la faccio sotto! Io volevo solo questo: cantare! I miei provarono anche con il collegio, ma io per prima cosa ho fondato un gruppo. Devo riconoscere poi la fortuna di incontrare persone come Lucio (Dalla) o Francesco (De Gregori) fino dagli esordi, ed è stato importante avere al fianco persone così. Lucio era uno che quando si metteva a lavorare per gli altri, come per Bersani, Carboni, gli Stadio, dava anche di più e ci stava delle ore, era l’ultimo che usciva dallo studio. Lucio mi ha messo nel cuore quella stessa passione e quella voglia di dare agli altri qualcosa di buono.

Aspettando il concerto di Roma, che legame hai con la Capitale?
Amo Roma tantissimo, ci sono stato per prima volta a 16 anni, quando venni chiamato da un discografico che mi aveva sentito al concorso delle voci nuove. Ho un ricordo bellissimo di quel giorno, andai con mio padre, eravamo vestiti a festa perché dovevamo andare alla RCA a sentire una canzone, la prima che mi proposero. E quando arrivammo facemmo il giro largo con il taxi e non pensavo che esistesse una città così bella! Ovunque mi girassi c’era vita, c’era arte. Sono ancora sempre molto colpito da Roma.

Insomma, torni a Roma ricordando ancora tuo padre.
È vero! Tra l’altro faccio una fatica quando canto “sono un figlio”! Mi emoziono ogni volta pensando a lui.

20 marzo 2023