Naufragio, l’orrore nei racconti dei sopravvissuti: «Così hanno visto morire i loro familiari»

Dopo l’esplosione della barca si sono gettati in mare per raggiungere la riva. Le storie raccolte dal team di Msf. Bertotto: «Le parole di Meloni e Piantedosi uno schiaffo alle vittime»

C’è un ragazzo di 16 anni che non riesce a raccontare ai genitori della morte della sorellina, che era sulla barca con lui. Quel viaggio per sottrarla alla violenza dei talebani si è trasformato in poche ore in una tragedia indicibile. Lo stesso è successo alla famiglia di un uomo di 40 anni, anche lui afgano, sopravvissuto alla morte di tre dei suoi quattro figli. Non riesce a darsi pace, si sente in colpa, per quel viaggio che doveva rappresentare la loro nuova vita. Sono gli operatori del team medico di Medici senza frontiere a fornire le prime testimonianze dei sopravvissuti al naufragio di Cutro, in Calabria, sulla costa crotonese. 60 persone in tutto, quasi tutti nuclei familiari che hanno avuto un lutto nella tragedia. «Noi ci occupiamo normalmente del triage e della primissima accoglienza. Abbiamo un team di supporto psicologico e lo abbiamo attivato subito – spiega Sergio Di Dato, coordinatore di People in the move, il progetto di Msf basato a Roccella Ionica -. Abbiamo iniziato a incontrare le persone e dare una risposta ai primi bisogni. Molti ci hanno chiesto di chiamare casa per informare i familiari di essere sopravvissuti e, purtroppo, anche dei decessi. Non tutti ci sono riusciti, sono molto provati. Un ragazzo minorenne afgano ha detto ai genitori che la sorella è in ospedale, in realtà sa bene che non ce l’ha fatta. In generale, quasi tutti, hanno avuto il lutto di un parente o di qualcuno vicino».

Attraverso i racconti dei superstiti, in queste ore, si cerca anche di ricostruire la dinamica del naufragio e il numero esatto delle persone a bordo: secondo alcuni 170, secondo altri 250 naufraghi. In molti raccontano di un’esplosione, ma gli operatori sanitari non hanno trovato segni di ustioni sui migranti. Probabilmente il boato sentito è relativo all’urto di uno scoglio o al cedimento dell’imbarcazione sovraccarica. «Ci hanno detto di aver iniziato a nuotare e di essere arrivati a riva, solo una volta in spiaggia si sono resi conto che molti non ce l’avevano fatta – spiega ancora Di Dato -. Abbiamo sentito dire che bisogna impedire le partenze, ma siamo di fronte a persone che sono state costrette ad abbandonare tutto, per loro non c’è altra soluzione. Hanno scelto questa rotta per velocizzare l’arrivo in Europa, molti hanno familiari in altri stati Ue».

Ventidue dei sopravvissuti sono attualmente ricoverati in ospedale, sei di loro sono minori. Nelle prossime ore verrà effettuato il riconoscimento delle salme. «Nel rispetto che si deve alle vittime e al dolore di queste ore siamo i primi a fare attenzione a non speculare su tragedie come queste, come richiesto dalla premier Meloni. Ma non possiamo non dire che le prime dichiarazioni del governo, per bocca proprio di Meloni e Piantedosi, sono uno scaricabarile, l’ennesimo schiaffo sul volto delle vittime – sottolinea Marco Bertotto, direttore dei programmi di Msf in Italia -. Abbiamo sentito l’inapplicabile ricetta delle partenze da impedire e l’argomentazione della lotta ai trafficanti: sono risposte dal nostro punto di vista stucchevoli. Di fronte al visibile aumento delle partenze e alla diversificazione delle rotte è impossibile evitare le morti senza il ripristino di un sistema di soccorso in mare. Serve una risposta a queste tragedie simile a Mare nostrum, un unico meccanismo istituzionale e con un mandato specifico di soccorso in mare. E poi politiche migratorie più umane che diano risposte concrete. Serve cambio di passo e di prospettiva. Si è trattato di un naufragio avvenuto a 150 metri dalle coste, questo non può avvenire con un sistema di soccorso a tutto tondo, volto a evitare l’esposizione al rischio – aggiunge Bertotto -. Di quel barcone si conosceva l’esistenza da molte ore, si doveva  evitare che arrivasse fin lì a schiantarsi contro una secca».

La rotta turco-calabra ha avuto un incremento dei passaggi negli ultimi anni. Nel 2022 secondo i dati di Oim sono state 15mila le persone arrivate, circa il 15% del totale degli arrivi in Italia via mare. «In quel tratto di mare le ong non operano con il salvataggio in mare, manca un meccanismo di ricerca proattiva per evitare le morti – spiega Juan Matias Gil, capomissione Msf per la ricerca e soccorso in mare -. Da giovedì la nostra nave Geo Barents ha un fermo amministrativo che consideriamo illegittimo. Ricordiamo che le persone compiono questa rischiosa traversata per mancanza di canali legali e sicuri». (Eleonora Camilli)

28 febbraio 2023