Il municipio VII dedica la sala della giunta a don Sardelli

“Educatore e amico degli ultimi”, si legge sulla targa. Il presidente Laddaga: «I suoi insegnamenti, validi per tutti». La testimonianza della nipote Giuliana

“Educatore e amico degli ultimi”. Recita così la targa dedicata a don Roberto Sardelli, al quale venerdì 24 febbraio è stata intitolata la sala della giunta del VII municipio di Roma. Fu proprio nel territorio di Cinecittà che il sacerdote si trasferì e visse, a fine anni ’60, per stare accanto a migliaia di cittadini che vivevano nei ghetti, nelle baracche dell’Acquedotto Felice. «Don Roberto decise di non voltarsi dall’altra parte, anzi, di volgere lo sguardo verso i disagi e le miserie più estreme della popolazione», le parole di Francesco Laddaga, presidente del municipio VII. «Noi tutti ancora ricordiamo la sua celebre “Lettera al Sindaco” del 1969», ha aggiunto, citando anche la scuola 725, che prendeva il nome dalla baracca al cui interno insegnava e portava sapere e cultura agli ultimi. «Abbiamo voluto dare un segnale forte – ha continuato – perché intitolare la sala dove vengono prese le decisioni sul futuro del territorio è un passo importante». Certamente, non  un’iniziativa di parte: «Non vogliamo appropriarci politicamente della figura di don Roberto, ma anzi i suoi insegnamenti sono e saranno sempre validi per tutti, al di là di qualsiasi colore politico».

don roberto sardelli
Nella foto, don Roberto Sardelli davanti alla baracca della Scuola 725, in uno scatto d’epoca


Per don Roberto Sardelli
non solo la targa, ma anche un ritratto all’interno della sala, realizzato da alcune studentesse del vicino liceo artistico “Argan”. «Averlo presente ci carica di forti responsabilità e ogni volta che prenderemo una decisione dovremo pensare ai più fragili», prosegue il minisindaco. Fragili e malati che sono stati ricordati anche da Giuliana Sardelli, nipote di don Roberto. «Io ho fatto solo il mio dovere, ora tocca a voi»: le parole del sacerdote che ha voluto ricordare. «Questa intitolazione – ha osservato – serve a tutti noi perché ci carica del dovere di fare del bene». Nei suoi ricordi personali, la nipote del sacerdote ha evidenziato «la sua attività con gli abitanti delle baracche e con i malati di Aids, che erano a quei tempi ghettizzati. Ricordo – ha continuato – che anche quando veniva a Pontecorvo, suo paese di origine, spesso andava via in fretta, non appena sapeva che qualcuno dei suoi ragazzi stava male». Una missione nel cuore delle periferie «che non gli ha risparmiato attacchi e critiche da cittadini e anche da altri sacerdoti, ma lui tirava sempre dritto».

Il ricordo “culturale”, invece, è stato affidato alle parole del rettore dell’Università Roma Tre Massimiliano Fiorucci, che si è battuto per assegnare a don Sardelli la laurea honoris causa, conferita al sacerdote nel 2019 poco prima della sua morte. «È stato una luce su più fronti – ha ricordato -: non solo la vicinanza a poveri, disagiati e ammalati, ma anche nella sua voglia di dare cultura e formazione a tutti. Addirittura – ha raccontato – era contrario all’elemosina fine a se stessa e si arrabbiava con chi pensava di aiutare concedendo poche ore ai poveri. Per lui era fondamentale stare continuamente con chi soffriva e dare loro la possibilità di andare a scuola, avere informazione, avere cultura». Per Fiorucci questa è stata «una grande eredità che ci ha lasciato. Ancora oggi – ha sottolineato – vediamo povertà e disagi nelle nostre città, ma gli aiuti economici e delle istituzioni non risolvono tutto se poi non c’è istruzione».

27 febbraio 2023