De Donatis: «La strada della pace è l’unica che può costruire il futuro»

Nella basilica lateranense la diocesi di Roma si è raccolta in preghiera insieme alla comunità ucraina, a un anno dall’invasione russa dell’Ucraina. Il vescovo Ambarus: «Solo il Signore può lenire le lacrime versate dalle spose, dalle madri, dai figli»

Il fumo dell’incenso sale dal braciere acceso davanti all’altare. Sale silenzioso, come la preghiera commossa delle centinaia di fedeli riuniti ieri sera, 24 febbraio, nella basilica di San Giovanni in Laterano, per la veglia a un anno dall’inizio della guerra scatenata dall’invasione russa in Ucraina. Sulle sedie, come sul presbiterio, rami di ulivo, perché la pace è frutto di un lavoro faticoso, di cura costante. «All’inizio della Quaresima – ha detto il cardinale vicario Angelo De Donatis, che ha presieduto la celebrazione promossa dalla diocesi di Roma – ci raduniamo insieme per invocare il dono della pace, la nostra speranza è posta in colui che attraverso la risurrezione ha abbattuto il muro dell’inimicizia».

La Chiesa di Roma e la comunità ucraina ieri non si sono unite per «festeggiare qualcosa, perché non c’è niente da festeggiare», ha ricordato il vescovo Benoni Ambarus. Ma «per fare silenzio per le vittime della guerra in Ucraina e di tutti i conflitti, perché solo il Signore può lenire le lacrime versate dalle spose, dalle madri, dai figli». Implorare la pace, dopo 365 giorni di massacri e violenze, è l’arte di chi sa sperare. È lo “scandalo” di chi crede in un Dio delle «beatitudini». Un Dio che è «principe della pace», come scritto nel brano di Isaia, letto all’inizio della veglia.

veglia per la pace in ucraina, Dioniso Lachovicz, 24 febbraio 2023
Dioniso Lachovicz

«Grande sarà il suo dominio e la pace non avrà mai fine», ascoltano in preghiera i sacerdoti greco cattolici di Ucraina, i profughi fuggiti dal conflitto, l’esarca Dioniso Lachovicz. Con loro anche fedeli provenienti da altre zone di guerra, come i giovani del Congo. Poi il Vangelo delle Beatitudini, che ha guidato il momento delle testimonianze, toccanti come solo la vita che vince sulla morte sa essere. «Il 24 febbraio 2022 ho scritto sul mio diario: “Non cedere alla paura, diffondi l’amore”», ha esordito Ieroslava, 21 anni, fuggita da Kharkiv. Poi la storia di Oxana e quella di Olya, psicologa ucraina che dall’Italia continua a fornire supporto psicologico ai connazionali rimasti in patria. La quarta voce è stata quella del vescovo cattolico croato Pero Sudar, ausiliare di Sarajevo dal 1993 al 2019, per ricordare che ogni conflitto lascia in eredità solo distruzione. «Per la guerra giusta ci vorrebbero gli eserciti giusti e quelli non esistono. La peggiore pace è meglio che la guerra migliore, perché la guerra migliore non esiste».

veglia per la pace in ucraina, mons. Pero Sudar, 24 febbraio 2023
mons. Pero Sudar

È stata anche la veglia degli «operatori di pace», tutti quegli uomini e quelle donne che lavorano al servizio del bene comune e, in questo caso, di chi fugge dalla violenza delle armi. In basilica c’erano infatti anche la Comunità di Sant’Egidio, il Centro Astalli, l’Opera Don Calabria, gli Scalabriniani, i Comboniani, i Vincenziani. «Vorrei rivolgermi agli operatori di pace: – ha commentato De Donatis – non scoraggiatevi! La strada più difficile è l’unica che può costruire il futuro, quella della pace. Oggi dobbiamo togliere la guerra dalla storia umana, come ricorda il Papa, altrimenti sarà la guerra a togliere dalla storia l’umanità. Il Signore renderà giustizia agli oppressi».

Alla fine della veglia, la preghiera solenne per tutti i Paesi sconvolti dalla guerra e dalle violenze, nominati uno per uno. Dall’Afghanistan al Messico, dalla Nigeria all’Ucraina. Una litania che sembrava non finire mai. Come la vicinanza e la commozione di tutti, nella speranza viva di un mondo in cui «la pace non avrà fine» per cui ciascuno può fare la sua parte.

25 febbraio 2023