Francesco: «Il sacerdozio non è un mestiere»

Lo ha ribadito a sacerdoti, diaconi, consacrati e consacrate e seminaristi, incontrandoli nella cattedrale di Kinshasa. «Senza preghiera non si va lontano». L’esortazione a vincere la «comodità mondana». Il 3 febbraio l’incontro con i vescovi e la partenza per il Sud Sudan

Dedicato a sacerdoti, diaconi, consacrati e consacrate e seminaristi il penultimo momento pubblico del viaggio di Francesco nella Repubblica democratica del Congo, ieri, 2 febbraio. Questa mattina, venerdì 3, l’incontro con i vescovi, quindi la partenza per il Sud Sudan. «Dio apre strade nei nostri deserti e noi, ministri ordinati e persone consacrate, siamo chiamati a essere segno di questa promessa e a realizzarla nella storia del Popolo santo di Dio», ha detto incontrando clero e consacrati nella cattedrale di Kinshasa, mettendoli in guardia dal rischio dell’aridità. «Non si tratta di un mestiere per guadagnare o avere una posizione sociale, e nemmeno per sistemare la famiglia di origine – ha aggiunto, riferito a sacerdozio e vita consacrata – ma è la missione di essere segni della presenza di Cristo, del suo amore incondizionato, del perdono con cui vuole riconciliarci, della compassione con cui vuole prendersi cura dei poveri. Noi siamo stati chiamati a offrire la vita per i fratelli e le sorelle, portando loro Gesù, l’unico che risana le ferite del cuore».

Proprio per questo, «senza preghiera non si va lontano». È la preghiera infatti che «crea in noi lo spazio per sperimentare la vicinanza di Dio, perché la sua Parola diventi familiare a noi e, attraverso di noi, a quanti incontriamo. Il segreto di tutto è la preghiera, perché il ministero e l’apostolato non sono prima di tutto opera nostra e non dipendono solo dai mezzi umani». Di qui l’invito a restare fedeli ai ritmi liturgici della preghiera che scandiscono la giornata. «E non tralasciamo neanche la confessione: abbiamo sempre bisogno di essere perdonati per poter donare misericordia». Ma non basta la recita delle preghiere: «Occorre riservare ogni giorno un tempo intenso per stare cuore a cuore con il nostro Signore: un momento prolungato di adorazione, di meditazione della Parola, il santo Rosario; un incontro intimo con colui che amiamo sopra ogni cosa. Inoltre, quando siamo in piena attività, possiamo anche ricorrere alla preghiera del cuore, a brevi giaculatorie, parole di lode, di ringraziamento e d’invocazione da ripetere al Signore ovunque ci troviamo».

Ancora, il Papa ha stigmatizzato «la tentazione della comodità mondana, di una vita comoda in cui sistemare più o meno tutte le cose e andare avanti per inerzia, ricercando il nostro confort e trascinandoci senza entusiasmo. In questo modo – ha detto – si perde il cuore della missione, che è uscire dai territori dell’io per andare verso i fratelli e le sorelle esercitando, in nome di Dio, l’arte della vicinanza». Il rischio allora, «specialmente in un contesto di povertà e sofferenze», è quello di «approfittare del ruolo che abbiamo per soddisfare i nostri bisogni e le nostre comodità. È triste quando ci si ripiega su sé stessi diventando freddi burocrati dello spirito. Allora, anziché di servire il Vangelo, ci preoccupiamo di gestire le finanze e di portare avanti qualche affare vantaggioso per noi». Di contro, «che bello invece mantenersi limpidi nelle intenzioni e affrancati da compromessi col denaro, abbracciando con gioia la povertà evangelica e lavorando accanto ai poveri!». E ancora: «Che bello essere luminosi nel vivere il celibato come segno di disponibilità completa al Regno di Dio! Non accada invece che in noi si trovino, ben piantati, quei vizi che vorremmo sradicare negli altri e nella società. Per favore, vigiliamo sulla comodità mondana».

Ultimo punto toccato dal pontefice: la formazione, «un cammino da portare avanti sempre, per tutta la vita», vincendo la tentazione della superficialità. «C’è bisogno di preti e religiosi preparati, formati, appassionati al Vangelo», l’appello di Francesco, secondo il quale «sarebbe presuntuoso pensare di poter vivere la missione a cui Dio ci ha chiamati senza lavorare ogni giorno su noi stessi e senza formarci in modo adeguato, nella vita spirituale come nella preparazione teologica. La gente – ha detto – non ha bisogno di funzionari del sacro o di laureati distaccati dal popolo. Siamo tenuti a entrare nel cuore del mistero cristiano, ad approfondirne la dottrina, a studiare e meditare la Parola di Dio; e al tempo stesso a restare aperti alle inquietudini del nostro tempo, alle domande sempre più complesse della nostra epoca, per poter comprendere la vita e le esigenze delle persone, per capire come prenderle per mano e accompagnarle».

3 febbraio 2023