Scuola, quando la letteratura diventa prova vera

Tre storie di donne: la Piccarda Donati e la Pia della Divina Commedia, la Gertrude manzoniana. E l’aula diventa per i ragazzi tempio di sguardi e di vertigine sull’esistenza

Senza averne troppo programmato la venuta, mi sono ritrovato nella stessa settimana a ospitare tre donne straordinarie a scuola, ma in tre classi diverse: tre donne, tre storie dolorosamente importanti. La prima è stata la Piccarda Donati del canto terzo del Paradiso dantesco, che si è presentata nella mia quinta con il volto bellissimo e diafano, appena accennato, di chi vediamo riflesso su un vetro trasparente e pulito, o sull’acqua limpida e tranquilla. Il racconto di come scelse di essere clarissa e poi di come venne a forza tratta fuori dal monastero dal fratello Corso affinché divenisse moglie e madre, per convenienze politiche e violenza del potere, è solo il ponte per arrivare all’endecasillabo che vale tutto il canto: «Iddio si sa qual poi mia vita fusi». «Già ragazze e ragazzi, quale deve essere stata poi la sua vita, quale deve essere stata. Questo la letteratura sa fare, darci in mano lo sprofondo di quella vita intera, di una esistenza non scelta, tra i crepacci di poche parole».

La seconda donna è sempre dantesca, ed è stata la Pia del canto quinto del Purgatorio, entrata come un vento caldo d’autunno nella mia quarta: «Ricorditi di me, che son la Pia: / Siena mi fé, disfecemi Maremma: / salsi colui che ‘nnanellata pria / disposando m’avea con la sua gemma». «Ricordati di me, di me Pia, che Siena mi ha generato, la Maremma mi ha ucciso, e questo sa colui che mi mise l’anello al dito con cui mi sposò. Una donna, ragazze e ragazzi. Pia, la travolta dalla violenza oscena, l’uccisa nel nascondimento dalla viltà di un uomo, ma lei che in tre versi di abisso Dante ci restituisce con la delicatezza di chi prima del racconto del suo baratro, detto in parole minime ed eterne, sa anteporre tutta l’umanità di chi si preoccupa prima del proprio interlocutore: “Deh, quando tu sarai tornato al mondo, / e riposato de la lunga via (…) / ricorditi di me che son la Pia”».

La terza donna – nella settimana nella quale la Commedia ha lasciato in dote a oltre quaranta ragazze e ragazzi le parole di due vite intere, da ridire da quel momento in poi con le proprie – ha parlato molto di più e a lungo. Perché il romanzo della manzoniana Gertrude, letto nella mia seconda classe, se è vero che culmina ne «la sventurata rispose» che tutti conosciamo, a quell’età è tutto quello che c’è prima: è il filo di lama sul quale si cammina quando si decide di centellinare, pagina per pagina, parola per parola, il lento percorso della bambina all’ombra del padre che ha ratificato per lei quella vita non voluta.

Ecco che allora la letteratura diventa prova vera, e ci si perde sul serio dentro quel guazzabuglio, se ne sente tutta la gravezza, ma anche il privilegio di essere lì in quel momento, a ponderare dentro un’aula tutta la vita – che è seria – data in mano da Gertrude, e di là da Pia, di là da Piccarda, a quei ragazzi e quelle ragazze: sì, a scuola, nel chiuso dell’aula, che in certi momenti, in certe mattine di traffico feriale e rumori, può farsi, silenziosamente e mirabilmente, tempio di sguardi e di vertigine sull’esistenza.

23 novembre 2022