Ponte Mammolo, dopo due mesi si dorme ancora in strada

L’11 maggio le ruspe hanno distrutto il campo dove abitavano 400 migranti. In 20 vivono nel parcheggio della stazione. Ad aiutarli, parrocchia e residenti

L’11 maggio le ruspe hanno distrutto il campo dove abitavano 400 migranti. Oggi in 20 continuano a vivere nel parcheggio della stazione. Ad aiutarli, la parrocchia e i residenti

Di giorno il parcheggio della stazione di Ponte Mammolo è una distesa di tende azzurre, panni stesi ad asciugare sui pali e sedie di plastica ingiallite dal sole. Di fronte, le macerie di quello che fine all’11 maggio scorso era la Comunità della Pace, il campo che per anni ha accolto centinaia di migranti. Dopo lo sgombero avvenuto due mesi fa, il tempo sembra essersi fermato: dei 400 ospiti del borghetto di via delle Messi d’Oro, venti persone dormono ancora in strada, dimenticate dal Comune come i resti delle loro baracche che nessuno ha ancora portato via.

«Chiediamo solo il mimino indispensabile per sopravvivere», dice Gabriel, 50 anni, arrivato 19 anni fa in Italia dall’Eritrea. Una vita passata a fare il muratore, anche se adesso il lavoro non c’è più: «Da anni sono disoccupato», sospira. Così, oggi si ritrova a vivere nel parcheggio della stazione, rimpiangendo la sua “baracca”. «Prima avevo una piccola casa, l’ho costruita con i mattoni facendo tanti sacrifici, non era fatta di lamiera come le altre – sottolinea con orgoglio – ma in 15 minuti hanno distrutto tutto senza darci il tempo di prendere le nostre cose». Gabriel, come gli altri suoi compagni, passa la giornata cercando refrigerio dal caldo nei giardini pubblici. Dentro le tende, donate da privati cittadini, la temperatura supera i 40 gradi. «C’è sempre qualcuno che resta per controllare che nessuno rubi niente». La sera tornano, si lavano alla fontanella più vicina e tentano di sopravvivere alle zanzare e alle formiche che hanno invaso il parcheggio. La maggior parte di loro non ha più di 30 anni ed è disoccupata, i più fortunati hanno trovato impiego come magazzinieri. Sono tutti richiedenti asilo o rifugiati, scappati dall’Eritrea.

Quasi tutti i 400 migranti che abitavano il campo erano transitanti, in viaggio verso il nord Europa. Una settantina di loro però risiedeva da anni alla Comunità della Pace, proprio come Gabriel. A loro, il Comune ha promesso più volte soluzioni abitative alternative «per iniziare un reale percorso di integrazione». A distanza di due mesi però, niente è cambiato: la maggior parte è stata trasferita al centro Baobab di via Cupa, vicino alla stazione Tiburtina, una struttura ormai al collasso, tanto che molti hanno preferito cercare autonomamente un altro alloggio. Come ha fatto José, originario del Perù e padre di una bambina di sei anni: «Sono andato via perché mia figlia e mia moglie non potevamo vivere lì insieme ad altre centinaia di migranti ammassati l’uno sull’altro», ha raccontato. Altri venti richiedenti asilo a fine maggio sono stati portati nella sede dell’Esercito della Salvezza, nell’ala destinata ai senza fissa dimora dove attualmente dormono duecento persone. Non sono mancate le proteste del presidente del II municipio Giuseppe Gerace, contrario al loro trasferimento nel quartiere di San Lorenzo. Tre giorni fa però l’Esercito della Salvezza ha fatto sapere ai suoi ospiti che, non avendo più ricevuto notizie dal Comune di Roma circa il proseguimento del «soggiorno», dovevano andare via. In questi giorni si attende un accordo che possa evitare il loro ritorno in strada.

Per chi invece in questi due mesi non ha avuto un letto su cui dormire, non resta che aspettare. Qualche settimana fa, hanno scritto una lettera indirizzata al sindaco di Roma Ignazio Marino, all’assessore alle Politiche sociali e abitative di Roma Capitale Francesca Danese e al prefetto di Roma Franco Gabrielli ma non hanno ricevuto risposta: «Il Comune di Roma ha distrutto quel poco che avevamo buttandoci per strada. Siamo persone, non numeri. Abbiamo una storia e una dignità da conservare. Quindi, per favore, trattateci nel rispetto delle leggi italiane ed internazionali e dei diritti umani. Chiediamo un posto dove vivere ma anche la soluzione dei problemi legati al rinnovo dei nostri permessi di soggiorno. Senza un indirizzo di residenza, le questure negano il rinnovo», hanno scritto.

A fine giugno, è stato offerto loro un alloggio nel quartiere Alessandrino, in una struttura che però non è ancora disponibile. Ad aiutarli sono rimasti i residenti della zona e la parrocchia che due volte al giorno porta loro da mangiare e mette a disposizione delle docce pubbliche in mancanza dei bagni chimici che il Comune non ha concesso. Da almeno un mese ha abbandonato il parcheggio anche il presidio di Medu, Medici per i diritti umani, e quello della Croce rossa. Si prende cura della loro salute Carlo Pellegrino, un medico che ogni giorno si assicura che tutti stiano bene: «Abbiamo avuto una epidemia di scabbia ma adesso è stata debellata. Ora sono preoccupato per il caldo intenso di questi giorni. Diciamo loro di bere tanta acqua durante la giornata e di non stare nelle tende nelle ore più calde. Molti hanno avuto infezioni agli occhi o ai piedi. Ci sono anche casi di faringite e di bronchite, causati dalla vita all’aperto», afferma Pellegrino. «Sono stati abbandonati da tutti, sopravvivono grazie alla solidarietà di noi volontari. In cambio, però, ci riempiono di umanità e ci hanno fatto riscoprire cosa è la dignità umana». (Maria Gabriella Lanza)

17 luglio 2015