Partire da dubbi e domande, pietra angolare dell’essere a scuola

Riflessione a partire da un apologo manzoniano: la necessità di uno sguardo capace di cogliere e di abbracciare l’irriducibile e infinita complessità della realtà

Due tali che litigano vanno da un giudice di pace. Il primo, chiamato a dire, espone con foga il proprio caso. Quando finisce, il giudice gli dice: «Lei ha ragione». Il secondo, scandalizzato, reclama la possibilità di dare la propria versione. Il giudice acconsente, e quando il secondo termina con altrettanta foga la propria difesa, gli dice: «Anche lei ha ragione». Accanto al giudice c’è un bambino, è il figlio del giudice. Per tutto il tempo è stato ad ascoltare, ma quando il padre dà ragione anche al secondo litigante sbotta così: «Ma babbo, non può essere che abbiano ragione tutti e due!». Il giudice lo guarda e infine sentenzia: «Hai ragione anche tu».

Questo apologo manzoniano (si trova nel trattato sul romanzo storico), di cui ho già detto lo scorso anno, mi è venuto in mente dopo uno scambio in chat con un amico e tre amiche care. Stavamo condividendo nella leggerezza alcune fatiche scolastiche, quando ho confidato loro, più o meno con queste parole, che scavallati i venti anni di insegnamento più passa il tempo più mi pare di perdere certezze e di essere invaso dai dubbi, anzitutto su me stesso; di avere capito che nei primi anni – oltre al limpido entusiasmo della giovinezza –  altrettanto significativa sia stata la sicumera data dall’ignoranza; che oggi percepisco tutto come complesso, in primis i ragazzi e le ragazze e la mia interazione con loro, così come avverto tutta l’inutilità della retorica verso sé stessi.

Lo scambio l’ho infine concluso con questo messaggio: «Poi la risolvo con l’onestà e lo studio, cerco di preparare al meglio le lezioni, ché almeno su quello sto con la coscienza a posto, di dare tutto nell’ora tenendo sempre in mente chi ho davanti, ma con la consapevolezza di essere sempre sul bordo dello sbagliare tutto». Il giorno dopo sono andato a scuola e la mattinata è andata molto bene, ho fatto quattro ore di lezione e sono filate via perfettamente, le classi si sono accese, ci siamo sforzati, appassionati a quanto letto e commentato, uno di quei giorni di scuola che mettono fieno in cascina per settimane. Ed è stato proprio mentre tornavo a casa che mi è venuta in mente la storiella di Manzoni.

All’inizio mi sono detto: «Vedi, in fondo tutti i dubbi e tutte le domande, ma alla fine qualcosa di buono riesci ancora a combinarlo a scuola». Ma poi ho pensato che forse qualcosa di buono a scuola lo si possa continuare a combinare solo facendo di tutti quei dubbi e quelle domande la pietra angolare del nostro essere a scuola.  Se oramai, naturalmente, si discute anche di educazione e scuola in un contesto come questo, quello della rete e dei social, nel quale è ricorrente l’assertività, il giudizio lapidario, la polarizzazione e l’affermazione perentoria del proprio punto di vista – tale quale quello dei due litiganti di Manzoni – a me pare essenziale, oggi più che mai, tornare ad assumere il punto di vista del giudice: nella sua capacità di cogliere e abbracciare l’irriducibile e infinita complessità della realtà, mi pare ci sia l’unico sguardo possibile, nel momento in cui si decide di misurarsi con l’infinita e irriducibile complessità della scuola, delle persone, della vita.

26 ottobre 2022