Gee, dentro le origini del mondo

Nella “Brevissima storia della vita sulla Terra”, la verità scientifica di quanto accaduto 4,6 miliardi di anni fa, fino alla previsione dello spegnimento del pianeta, «tra un miliardo di anni o giù di lì»

All’inizio c’era una stella gigante che stava morendo. Bruciava da milioni di anni sfruttando il combustibile di cui disponeva. Poi finirono le scorte di idrogeno, la gravità ebbe la meglio e la stella implose in una frazione di secondo. Lo schianto fu spaventoso. L’universo prese fuoco. Il cataclisma sparse ovunque silicio, nichel, zolfo e ferro. Da una nuvola di gas, polveri e ghiaccio nacque il Sole che ancora oggi c’illumina. La prima pagina della Brevissima storia della vita sulla Terra di Henry Gee (Einaudi, 15 euro) assomiglia a una poesia, ma è la verità scientifica di quanto accaduto 4,6 miliardi di anni fa. L’autore, un brillante paleontologo britannico già conosciuto in Italia grazie a due opere come quest’ultima assai fascinose e intriganti, Tempo profondo e La specie imprevista, ci trascina fin dentro le origini del mondo, nella nebbia irrespirabile di metano, anidride carbonica e vapore acqueo da cui si formò il nucleo ancestrale del nostro pianeta: una sfera rotante di metallo liquido.

I primi esseri viventi altro non erano che membrane schiumose. Per miliardi di anni folte schiere di cellule batteriche resistettero alle glaciazioni, quindi spuntarono funghi e licheni. Massicce eruzioni vulcaniche animavano una danza selvaggia di carbonio e ossigeno dove sopravvissero soltanto le spugne, adagiate sui fondali marini, capaci di assorbire ogni detrito. La vita animale comincia da lì perché alcuni esserini, non più grandi di una punta di spillo, allo scopo di difendersi e prosperare, passarono a una forma vertebrata. «Erano filetti di acciughe – scrive Gee -, creature senza testa, senza squame, senza orecchie, senza naso, senza cervello», alle quali però dobbiamo tutto. Appena le rocce emersero dall’oceano, furono loro a favorire la conquista degli stagni interni da parte delle alghe, in grado di prolificare ovunque. Questi laghi primordiali presto vennero invasi da piante e muschi. I tetrapodi uscirono dall’acqua trasformandosi in piccole lucertole.

Per altri milioni di anni la Terra restò a misura di anfibi. L’evoluzione si rivelò lenta, asimmetrica, con numerosi passi falsi e tanti ritorni indietro. Una forza oscura pulsava con implacabile determinazione. Dall’età dei dinosauri arrivammo a quella dei magnifici mammiferi in una progressione sempre più rapida e vorticosa verso il pianeta delle scimmie e dei primati da cui discendiamo noi. Quando comparvero i primi gruppi di homo sapiens il più era fatto.

Henry Gee ha la capacità di tenerci attaccati fino all’ultima pagina accennando alle peregrinazioni dell’uomo primitivo dalla culla africana alla colonizzazione dei continenti. Con un finale inquietante che, secondo le sue fosche previsioni, dovrebbe ricondurci al punto di partenza: «Tra un miliardo di anni o giù di lì la nostra Terra, il pianeta che ha sempre saputo volgere a proprio vantaggio ogni sfida alla sua esistenza, si sarà spenta del tutto».

18 ottobre 2022