Ucraina: al via i referendum nelle Repubbliche filorusse

Don Ladnyuk (salesiano), dal Donbass: «Messa in scena per l’opinione pubblica interna russa». Don Krat, parroco cattolico di Odessa, da Kherson: «Pretesto per reclutare gli uomini. Situazione umanitaria critica»

«Una messa in scena costruita solo per l’opinione pubblica interna alla Russia, per giustificare agli occhi del popolo russo questo intervento militare in Ucraina». A definire così il referendum al via oggi, 23 settembre, nelle Repubbliche filorusse dell’Ucraina è il salesiano don Oleh Ladnyuk, di base a Dnipro, da dove, a bordo del suo pulmino, è impegnato a portare aiuti umanitari sui fronti più caldi del Donbass. «Un referendum in queste condizioni di guerra è impossibile», afferma, raggiunto dall’Agenzia Sir, prima di fare tappa nell’oblast di Donetsk e quindi nella cittadina di Siversk.

«Parlando con la gente di qui, nel Donbass, ci dicono che nei territori occupati hanno preso tutti i maschi – prosegue -. Se entri a Donetsk e Lugansk, in queste città non vedi uomini. Il nostro timore è che questi referendum nei territori appena occupati come Kherson e Zaporizhia servano per reclutare tutti gli uomini ucraini e mandarli al fronte». In più, c’è la difficoltà tecnica di organizzare un referendum mentre «i combattimenti sono in corso e le città sono distrutte». Per il salesiano, «faranno più o meno la stessa cosa che hanno fatto in Crimea: apriranno 1 o 2 scuole al massimo per tutta la città, metteranno i seggi, porteranno degli attori, cittadini filo russi, gente che non si capisce da dove arriva e girano un video per dimostrare all’Europa la correttezza del referendum. E basta. Non ci sarà più niente».

Il sacerdote ne è convinto: «Questo referendum è fatto per l’opinione pubblica interna russa, perché stanno perdendo il consenso della gente, e per reclutare nuove forze nei territori occupati». E riguardo alle autoproclamate Repubbliche popolari di Donetsk e Lugansk, occupate dal 2014,parla di condizioni simili a quelle che si registrano in altre regioni come l’Ossetia del Sud per la Georgia e la Transnistria per la Moldova. In questi 8 anni, riferisce, «le persone non hanno avuto la possibilità di ricevere una informazione libera dall’Ucraina e dall’Europa ma sono state oggetto di una propaganda totale centrata sulla minaccia della Nato per la Russia, che ha coinvolto in modo pervasivo tutte le principali agenzie culturali, dall’uso nelle scuole della lingua russa alla distruzione di tutti i libri ucraini. In Crimea per esempio – ricorda – sono proibiti i canti ucraini. È una strategia molto intelligente perché mira a distruggere non solo le case ma anche tutti i fondamenti di un popolo».

Diverso il discorso nei territori appena occupati, dove «sono rimasti in maggioranza gli anziani e le persone che vogliono tornare in Russia. La maggioranza delle persone giovani, dagli insegnanti ai professionisti, hanno lasciato queste terre. Sicuramente chi è rimasto non dirà nulla contro questi referendum – riflette – perché se lo fanno, rischiano la vita. E quindi saranno anche obbligati ad andare a votare».

Urne aperte per decidere l’annessione alla Russia anche a Kherson, nella diocesi di Odessa, dal 23 al 27 settembre. «Le autorità ucraine stanno consigliando agli uomini rimasti in questo territorio di non presentarsi al referendum e di nascondersi perché possono essere reclutati nelle forze russe – riferisce sempre al Sir don Roman Krat, parroco della cattedrale cattolica latina di Odessa e delegato del vescovo locale per i rapporti con la stampa -. I referendum potrebbero cioè diventare un pretesto per prendere gli uomini». Proprio per questo, «nessuno è incoraggiato a partecipare al voto. Il risultato sarà comunque manipolato quindi l’astensione è il modo migliore che abbiamo per reagire a questo circo, mentre loro hanno bisogno di far vedere che tante persone hanno partecipato», commenta il sacerdote.

Anche a Kherson la situazione umanitaria è critica. Tante le persone che hanno scelto di restare: sono «quelli che credevano che si può sopravvivere e che non volevano lasciare la casa e il lavoro – prosegue don Krat, anche lui originario della città -. Anche i nostri due sacerdoti sono rimasti lì. Ma la situazione è molto difficile. Tutti i ponti di collegamento sul fiume Dnepr sono stati distrutti. Da una parte ci sono gli ucraini e dall’altra ci sono i russi, ma da nessuna parte si riesce a entrare. Passano le munizioni ma alla città, ai civili, non arriva più niente, già da due settimane – fa sapere -. Le persone stanno al momento utilizzando le provviste lasciate per l’emergenza. Sono risorse strategiche nascoste e accumulate prima. Ma non arriva più nulla di nuovo. I prezzi sono quindi aumentati di 4/5 volte. E se la situazione perdura così per più di un mese, significa che saremo di fronte alla fame».

Sul referendum, asserisce con chiarezza: «È un circo che non decide niente. Serve solo a Putin per estendere il conflitto in ogni modo. Perché se la situazione della guerra rimane come è adesso, è chiaro che la Russia sta perdendo. E lui ne è consapevole. Il referendum è una scusa per proclamare questi territori russi e consentire a Putin di annunciare la guerra e utilizzare tutti i mezzi possibili contro l’Ucraina. Quello che non ha potuto fare fino adesso. Ma attenzione – avverte -, questo consentirebbe anche all’Ucraina di proclamare guerra alla Russia. La preoccupazione quindi è che la guerra si aggravi, che gli attacchi possano avvenire anche dal cielo, che il conflitto si allarghi». E Kherson, riflette ancora Krat, «con Zaporizhzhia è un territorio strategico per collegare Donetsk alla Crimea. Quando Putin pensa, non pensa mai agli uomini ma al territorio in modo strategico».

23 settembre 2022