La deportazione degli ebrei: il pellegrinaggio della memoria

In centinaia alla marcia organizzata da Comunità di Sant’Egidio e Comunità ebraica di Roma. Riccardi: «Il ricordo è radice di umanità»

La marcia con centinaia di persone organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio e dalla Comunità ebraica di Roma da Trastevere a Largo 16 Ottobre. «I giovani devono sapere»

Il 16 ottobre 1943 ben 1.023 persone, di cui 200 bambini, quasi tutte appartenenti alla comunità ebraica, vennero catturate dalle truppe tedesche della Gestapo e furono deportate ad Auschwitz. Soltanto 16 sopravvissero. Il 15 ottobre 2016, come ogni anno dal 1994, la Comunità di Sant’Egidio e la Comunità ebraica di Roma hanno voluto ricordare questo drammatico momento storico della città, ripercorrendo con un “pellegrinaggio della memoria” le stesse strade di quel tragitto che condusse alla morte centinaia di persone.

In prima fila, con i rappresentanti delle comunità, il sindaco di Roma, Virginia Raggi, e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, intervenuti alla fine della marcia, nel largo che prende il nome da quel giorno; sul palco Mario Giro, viceministro degli Esteri. A dare il via alla marcia il vescovo ausiliare per il settore Centro Gianrico Ruzza, che ha letto un passo di Alberto ed Esther Mieli: «I giovani devono sapere quello che c’è stato in quei campi, devono conoscere anche questa parte, la più dura e crudele della storia, perché solo così è possibile costruire un futuro migliore». Centinaia i partecipanti, cittadini di ogni età, italiani di vecchia data e immigrati, i “nuovi italiani”.

«Siamo sotto uno striscione bellissimo che recita: “Non c’è futuro senza memoria” – ha esordito Ruth Dureghello, presidente della Comunità ebraica -. C’è bisogno di ricordare, è un bisogno che ora più che mai si ripresenta per le tragedie che l’umanità sta vivendo». Il problema ha spiegato, è l’indifferenza, riferendosi all’attualità: «Ci ha colpito nei giorni scorsi una decisione inaccettabile di un organo come l’Unesco, che ha negato le radici di un’origine ebraica di una città come Gerusalemme – ha sottolineato riferendosi alla risoluzione votata lo scorso 15 ottobre che, a giudizio di Israele, non riconosce i legami con il Monte del Tempio e il Muro del Pianto -. Siamo vicini proprio a una piazza che si chiama Gerusalemme, proprio questa simbolo di una volontà di essere tutti uniti, tutti insieme nelle religioni, proprio in questi luoghi, luoghi simbolo di una storia terribile, ma anche della volontà di fare pace».

La memoria, ha detto poi Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, «ci rende cittadini di Roma consapevoli». Il ricordo, ha proseguito, «non è nelle biblioteche, nei musei, che pure abbondano a Roma, il vero ricordo è nel vissuto, nell’ethos della gente, questo sentire comune è la grande garanzia contro le pulsioni pericolose». Ricordare, ha poi aggiunto «è una salda radice di umanità, contro l’indifferenza».

Il rabbino capo della Comunità ebraica, Riccardo Di Segni, ha citato il libro del Deuteronomio: «”Ricorda i giorni lontani, comprendete gli anni di ogni generazione”. Il monito a studiare la storia e farne uno strumento di identità ci viene proprio da Mosè e dal suo testamento spirituale. Ci ha detto che se vogliamo comprendere ciò che accade oggi nel mondo dobbiamo capire quanto accaduto nel passato». Un monito, ha detto Raggi, «a tanti che ancora odiano su base razziale o religiosa. Oggi c’è ancora tanto da fare, il passato in molti Paesi è ancora presente. Per molte persone la parola libertà e il rispetto dei diritti umani rappresentano domande incalzanti a cui dare risposta».

Zingaretti ha rincarato: «Siamo qui per le vittime di allora, ma se vogliamo dircela tutta, come è stato detto, di fronte a pulsioni che sembrano voler riemergere – ha continuato riferendosi a Riccardi – siamo qui come monito dei rischi che sembrano risorgere nel presente. Siamo qui a ricordare i nomi delle vittime contro ogni antisemitismo e negazionismo. Siamo qui a ricordare il loro dolore contro ogni forma di intolleranza e odio che sembra riaffacciarsi nella nostra Europa». La democrazia, ha proseguito, «è costata sangue e sofferenza, e mantenerla viva richiede un impegno quotidiano, culturale, di parole e di militanza». Roma, ha concluso, «non permetterà più che accada quello che è accaduto il 16 ottobre del 1943».

17 ottobre 2016