San Camillo, valorizzare l’eredità dell’emergenza

Il direttore generale D’Alba: potrebbe restare servizio di consulenza telefonica per i pazienti. Padre Umberto: tempo che apre cuori

Guarda a quanto «di buono e positivo questa emergenza sanitaria ci ha insegnato» Fabrizio D’Alba, direttore generale dell’ospedale San Camillo–Forlanini, auspicando che «quello che il coronavirus ci ha portato e obbligato a rivedere in una condizione emergenziale possa innovare la dimensione ordinaria». In particolare, il dirigente pensa alla possibilità di rendere fruibile anche in futuro, al di là delle restrizioni governative previste allo stato attuale per il contenimento della diffusione del Covid–19, il servizio di consulenza telefonica “San Camillo risponde”.

Inaugurato il 12 maggio, è attivo dal lunedì al venerdì dalle 8 alle 17, per offrire un contatto con uno specialista ai pazienti – e ai loro medici curanti – che «non rientrano nella categoria “urgenze”». Gli sportelli telefonici sono aperti due ore al giorno, secondo il calendario fornito dalle diverse Unità operative. Ancora, è stato e viene garantito il servizio di recall telefonico per gli utenti prenotati e sospesi dal 9 marzo, data di avvio del lockdown, e quello per i pazienti già in carico, seguiti in questi ultimi due mesi con una gestione “a distanza”.

Altro servizio offerto dal San Camillo, inaugurato il 14 maggio, secondo le disposizioni della Regione Lazio per una valutazione su larga scala della circolazione del coronavirus, in particolare nei soggetti asintomatici, è quello di drive–in per l’esecuzione del tampone naso–faringeo. «Possono accedere alla postazione, attiva dalle 9 alle 18, dal lunedì al venerdì, e dalle 9 alle 14 il sabato – spiega D’Alba –, coloro che siano risultati positivi a seguito dell’esecuzione del test sierologico con prelievo venoso, solo se muniti della prescrizione del proprio medico di base». Recandosi con la propria vettura al presidio ospedaliero, si potrà effettuare il tampone rimanendo a bordo.

D’Alba sottolinea come «in questa fase, dopo il supporto offerto in prima istanza alle rete ospedaliera regionale e la gestione dell’emergenza con l’apertura di reparti Covid dedicati anche nel nostro nosocomio in un secondo momento», si tratta oggi di «far crescere non tanto l’oggettività della sicurezza, garantita da subito nella nostra struttura, ma la percezione di tale condizione nei pazienti», organizzando la ripresa di quelle «prestazioni ambulatoriali sospese negli ultimi mesi», mentre sono sempre state garantite «quelle visite considerate urgenti, che prevedono tempi di esecuzione entro 3 e l0 giorni».

Inoltre D’Alba spiega che, anche per rispondere alla richiesta di presa in carico da altri ospedali della rete regionale, «divenuti subito Centri Covid, come il Policlinico Umberto I e quello di Tor Vergata, nei mesi di marzo e aprile la riduzione della nostra attività chirurgica è stata solo del 20%». Il direttore generale rileva invece «da fine febbraio un calo della domanda assistenziale, con una riduzione di accessi al nostro Pronto soccorso per la paura degli utenti di contrarre il virus in ambiente ospedaliero», pur essendo stata offerta dall’inizio, mediante la riorganizzazione degli spazi e l’attuazione di percorsi dedicati, «un’accoglienza in sicurezza, con un apposito pre–triage per filtrare al meglio gli accessi di eventuali pazienti infettati».

Pur riconoscendo, «specie in un primo momento, la difficoltà di reperire anche banalmente le mascherine per i nostri operatori sanitari», il responsabile afferma che «il personale, adeguatamente formato, ha sempre operato in piena sicurezza». Anche e soprattutto in seconda battuta, «quando è stato richiesto pure al nostro nosocomio – , afferma D’Alba – di destinare due reparti di degenza ordinaria, attivi fino alla scorsa settimana e che sono già stati sanificati, a pazienti affetti da coronavirus, unitamente ad una terapia intensiva e una sub–intensiva, una sala operatoria e una Tac dedicate».

Padre Umberto D’Angelo, cappellano all’ospedale San Camillo-Forlanini, racconta questi mesi di emergenza sanitaria come «un’esperienza forte, che ha portato anche noi religiosi ad assorbire tanto del dolore che ha interessato i reparti Covid, mostrando il nostro limite umano». Oltre i presidi di sicurezza, con le mascherine che impediscono di mostrare e cogliere un sorriso, «si è ritornati a guardare con più attenzione negli occhi, capaci di comunicare tanto e bene le dinamiche interiori di ognuno». Lui e gli altri sei cappellani impegnati nel nosocomio hanno «trovato nella preghiera la forza», maturando anche una riflessione positiva e propositiva «guardando al Creato: la natura che si è risvegliata con i suoi suoni e colori ci dice che anche da qualcosa di terribile come questa pandemia può ancora germogliare la speranza».

Il religioso, a partire dalla sua esperienza di accompagnamento spirituale e di vicinanza umana in tutti i reparti, osserva come «questo tempo ha aperto tanti cuori mentre altri si sono invece irrigiditi». In particolare padre D’Angelo pensa ai pazienti e agli operatori sanitari che «proprio in questa fase hanno cominciato ad aprirsi di più, vedendo in me una figura di riferimento anche laddove non c’era un cammino di fede pregresso», approfittando della sua presenza «per condividere preoccupazione, paura e ansia».

C’è chi lo ha visto anche «come una possibile fonte di contagio, perché avevo accesso e frequentavo i reparti Covid, per la paura e il sospetto che potessi avere contratto il virus». Più di tutto però padre Umberto pensa alla gioia derivata dal «poter essere ponte tra i malati e le loro famiglie, magari nel fare quotidianamente con un malato della terapia sub–intensiva una videochiamata alla moglie» o potendo offrire conforto con la benedizione dei defunti nella camera mortuaria.

18 maggio 2020