41 i medici morti nella pandemia. Anelli: «Serve sorveglianza sul territorio»

La lettera aperta del presidente della Federazione nazionale Filippo Anelli: l’ospedale non basta. «Dati peggiori di quelli registrati in Cina»

41 morti e 6.205 contagiati. Quello della Federazione nazionale ordini medici chirurghi e odontoiatri (Fnomceo) è un vero e proprio bollettino di guerra. Della guerra contro il Covid-19,  che proprio tra gli operatori della sanità ha causato un numero particolarmente alto di vittime, alle quali la Fnomceo dedicata una sezione del sito, listato a lutto. Il presidente nazionale Filippo Anelli scende in campo con una lettera-appello pubblicata sul British Medical Journal, sottolineando che «l’inadeguatezza del modello ospedalo-centrico per far fronte ad epidemie di questa portata si è resa evidente dopo la chiusura di interi ospedali in Italia per la diffusione dell’infezione tra medici, infermieri e pazienti».

Quella contro il coronavirus, è la tesi di Anelli, è una battaglia da vincere sul territorio. A dimostrarlo bastano i numeri: in Italia si sono registrati «dati peggiori di quelli registrati in Cina che si è fermata a 3.300 sanitari contagiati e 23 decessi». Per il presidente Fnomceo, «è lecito supporre che questi eventi sarebbero stati in larga parte evitabili se gli operatori sanitari fossero stati correttamente informati e dotati di sufficienti dispositivi di protezione individuale adeguati: mascherine, guanti, camici monouso, visiere di protezione, che invece continuano a scarseggiare o ad essere centellinati in maniera inaccettabile nel bel mezzo di un’epidemia a cui pure l’Italia si era dichiarata pronta solo a fine due mesi fa».

Di qui l’appello lanciato dalle colonne del Bmj, nel quale il presidente Fnomceo definisce «errore fatale» l’assenza negli ospedali di percorsi dedicati esclusivamente al coronavirus «quanto ad accesso, diagnostica, posti letto e operatori sanitari». Nessuna epidemia, avverte, «si controlla con gli ospedali, come si è forse erroneamente immaginato: è sul territorio che va espletata l’identificazione dei casi con test affidabili ma anche con rapidi kit di screening e la sorveglianza con la tracciabilità dei contatti, il monitoraggio e l’isolamento». Fondamentale «sbloccare immediatamente e senza ritardi le forniture di dispositivi di protezione individuale»” ed «eseguire test di screening a risposta rapida in maniera sistematica per lo meno a tutti gli operatori sanitari operanti nel pubblico e nel privato – inclusi i medici di medicina generale e operatori di case di riposo o Rsa, centri diurni – che mostrano sintomi di infezione da Covid-19 (anche lieve e in assenza di febbre) o che sono stati in contatto con casi sospetti o confermati». Uno screening che «deve avvenire mediante test a risposta rapida validati, registrati presso il ministero della Salute italiano», che «dovranno essere confermati eseguendo tamponi faringei», due volte alla settimana. «Soltanto così – conclude Anelli – si potrà finalmente avviare, sia pure in ritardo, una fase più controllata dell’attuale andamento epidemico».

27 marzo 2020