31 anni fa la strage di Capaci

Il 23 maggio 1992 l’attentato in cui morirono il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti di scorta. Il presidente Mattarella: «Eventi iscritti per sempre nella storia della Repubblica». Commemorazione a Palermo con il capo della polizia Vittorio Pisani

«Magistrati come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino hanno demolito la presunzione mafiosa di un ordine parallelo, svelando ciò che la mafia è nella realtà: un cancro per la comunità civile, una organizzazione di criminali per nulla invincibile, priva di qualunque onore e dignità». Sono le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a 31 anni dalla strage di Capaci, il 23 maggio 1992, nella quale morirono il giudice Falcone, la moglie Francesco Morvillo e gli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. «L’azione di contrasto alle mafie va continuata con impegno e sempre maggiore determinazione – prosegue la dichiarazione del capo dello Stato -. Un insegnamento di Giovanni Falcone resta sempre con noi: la mafia può essere battuta ed è destinata a finire».

Mattarella parla di Capaci come di un attacco «feroce e sanguinario» contro lo Stato democratico, che proseguì, poche settimane dopo, con «un altro devastante attentato, in via D’Amelio a Palermo, nel quale morì Paolo Borsellino, con Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina. A questi testimoni della legalità della Repubblica, allo strazio delle loro famiglie, al dolore di chi allora perse un amico, un maestro, un punto di riferimento, sono rivolti i primi pensieri nel giorno della memoria – prosegue -. Quegli eventi sono iscritti per sempre nella storia della Repubblica».

Nelle parole del presidente anche il «senso di vicinanza e riconoscenza verso quanti hanno combattuto la mafia infliggendole sconfitte irrevocabili, dimostrando che liberarsi dal ricatto è possibile, promuovendo una reazione civile che ha consentito alla comunità di ritrovare fiducia. I criminali mafiosi pensavano di piegare le istituzioni – riflette -, di rendere il popolo suddito di un infame potere. La Repubblica seppe reagire con rigore e giustizia». Quindi, ricordando le vittime, evidenzia: «La mafia li ha uccisi, ma è sorta una mobilitazione delle coscienze che ha attivato un forte senso di cittadinanza. Nelle istituzioni, nelle scuole, nella società civile, la lotta alle mafie e alla criminalità è divenuta condizione di civiltà, parte irrinunciabile di un’etica condivisa».

Molte le celebrazioni che scandiscono la giornata dell’anniversario a Palermo. A cominciare dall’aula bunker dell’Ucciardone, con la premier Meloni in collegamento da Roma. Presente invece il ministro degli Interni Matteo Piantedosi – che in mattinata ha deposto anche una corona d’alloro davanti alla stele di Capaci che ricorda l’attentato -, insieme a 80 baby sindaci da tutta Italia. A Palermo, tra gli altri, anche il capo della Polizia Vittorio Pisani e la vedova del caposcorta di Falcone, Tina Montinaro. «Il loro esempio continua a vivere e il nostro dovere è mantenerlo sempre più vivo», ha affermato Pisani, ricordando non solo il giudice ucciso a Capaci ma anche «il sacrificio degli 11 servitori dello Stato» morti nelle stragi del 1992. . Uomini e donne che, «nella perfetta consapevolezza dei rischi che correvano, hanno sacrificato la loro vita per l’affermazione dei valori di legalità in cui credevano e su cui si fonda la nostra nazione».

23 maggio 2023