30 anni dopo gli attentati alle chiese di Roma, la fiaccolata per non dimenticare

Il corteo nella notte, da San Giovanni in Laterano a San Giorgio in Velabro. Il messaggio del Papa: «Voi, sentinelle nella notte, siete chiamati a essere un attivo sostegno al cambiamento di mentalità». Don Ciotti (Libera): «Senza una risposta collettiva non ne usciremo»

Roma non dimentica. La mezzanotte del 28 luglio è passata da quattro minuti quando le fiaccole partono da San Giovanni in Laterano in un corteo diretto a San Giorgio in Velabro. Le fiammelle illuminano le vie di Roma per mantenere acceso il ricordo dei tragici eventi che il 28 luglio di trent’anni fa colpirono il cuore della Città eterna. «Voi, sentinelle nella notte, siete chiamati a essere un attivo sostegno al cambiamento di mentalità, uno spiraglio di luce in mezzo alle tenebre, una testimonianza di libertà, giustizia e rettitudine», le parole scelte da Papa Francesco e pronunciate dal vescovo Baldo Reina, vicegerente della diocesi di Roma. Sono parole rivolte a tutti, ma in particolar modo ai più giovani che hanno preso parte alla fiaccolata commemorativa organizzata dalla diocesi insieme a Libera e all’amministrazione capitolina. A sfilare tra le strade della Capitale sono le fiamme di un impegno sociale che a distanza di tre decenni si rinnova, condannando «il vile gesto» che nel luglio del 1993 sconvolse Roma, turbando «profondamente l’animo dei credenti di tutto l’orbe cattolico e in particolare dei fedeli romani», ha ricordato il pontefice.

In città la ricordano tutti la notte tra il 27 e il 28 luglio di quell’anno. Gli attentati di Cosa nostra alle chiese di Roma – così sono passati alla storia – provocarono 22 feriti. Anche chi non c’era, i più giovani, sa cosa hanno rappresentato quei quattro minuti che separavano l’esplosione delle due autobombe. La prima, alle ore 00:04 in piazza di San Giovanni in Laterano. La seconda, invece, quattro minuti dopo a ridosso della chiesa di San Giorgio in Velabro. Fu la risposta che Cosa nostra diede all’invettiva contro i mafiosi pronunciata il 9 maggio del 1993 da Giovanni Paolo II in Sicilia. «Convertitevi!», disse Papa Wojtyla parlando ai mafiosi dalla Valla dei templi di Agrigento: «Questo popolo, il popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, non può vivere sempre sotto la pressione di una civiltà della morte», aggiunse il pontefice lanciando ufficialmente la lotta della Chiesa contro la mafia che nel 2014 sarebbe culminata nella scomunica da parte di Papa Francesco.

La notte del 1993 fu quindi una rappresaglia contro quella lotta. «Quegli attentati furono la risposta di Cosa Nostra a una Chiesa che non taceva di fronte alle ingiustizie e alle violenze mafiose», ha affermato don Luigi Ciotti, presidente nazionale di Libera. «Il discorso di Giovanni Paolo II non fu gradito ai circuiti mafiosi», ha aggiunto il sacerdote ricordando – a dimostrazione di ciò – le parole di Francesco Marino Mannoia, un collaboratore di giustizia negli Stati Uniti. Dopo qualche tempo dal discorso di Wojtyla, Mannoia affermò che «nel passato la Chiesa era considerata sacra e intoccabile mentre ora Cosa nostra sta attaccando la Chiesa, perché si sta esprimendo contro la mafia». E poi il passaggio decisivo letto da don Luigi Ciotti al termine della fiaccolata: «Gli uomini d’onore mandano messaggi chiari ai sacerdoti: non interferite», disse Mannoia. A riprova di questo, dopo le bombe a Roma, i proiettili che, nei mesi successivi, ammazzarono prima don Pino Puglisi e poi don Peppino Diana.

Interferire, allora, è l’unica arma contro quella mafia che nel luglio del 1993 ha squarciato la vita romana. Erano «anni oscuri della storia sociale segnati da altrettanto gravi atti di violenza contro istituzioni e servitori dello Stato», ha ricordato Papa Francesco nel suo intervento. Furono anni in cui si fece strada un sentimento di impotenza e sopraffazione che oggi non può e non deve dimorare ancora nelle nuove e nelle vecchie generazioni simbolo di memoria e di impegno. Perché la lotta alla mafia è questo: «L’impegno contro la mafia deve essere manifestato con le nostre scelte di vita, non deve essere solo una celebrazione», ha spiegato don Ciotti durante la fiaccolata: «Quello che qui è successo 30 anni fa impone una riflessione molto seria: le mafie sono più forti di prima».

Un corteo, quello di ieri notte, che ha unito le realtà laiche, associative e cattoliche di Roma rispondendo all’esortazione del pontefice a «contrastare le numerose forme d’illegalità e di sopruso che purtroppo ancora attanagliano la società contemporanea». In ballo c’è «il bene comune e in modo speciale il destino delle categorie più fragili, gli ultimi, coloro che patiscono ingiustizie d’ogni genere». Nel corteo sfilano i giovani, le sentinelle nella notte a cui ha fatto appello Papa Francesco: «Occorre che abbiate il coraggio di osare senza timore, in quanto le mafie mettono radici quando la paura si impadronisce della mente e del cuore». Ma a camminare insieme a loro sono anche i rappresentanti delle istituzioni. A partire dai parlamentari della Commissione antimafia, passando per i mini-sindaci dei vari municipi della Capitale. Sino ad arrivare al prefetto di Roma Lamberto Giannini: «Questo non è solo un ricordo, ma una testimonianza forte di impegno che riguarda tutti perché solo facendo sistema e pretendendo la legalità si potranno fare passi avanti per una vita democratica e libera», ha detto Giannini dal palco allestito a San Giorgio in Velabro. Dopo di lui, ancora le parole di don Luigi Ciotti: «Ci vuole uno scatto in più perché oggi a fare la differenza è l’indifferenza». L’appello è a tutti i cittadini liberi perché «senza una risposta collettiva non ne usciremo mai fuori».

28 luglio 2023