100 giorni di guerra in Sudan

L’Unhcr: porre fine ai combattimenti. 740mila i rifugiati nei Paesi confinanti. Numerosi gli sfollati interni. L’Alto Commissario Grandi: «Tutto questo deve finire»

Nella giornata di ieri, 24 luglio, è entrato nel centesimo giorno il conflitto armato in Sudan, per il quale dall’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) arriva l’appello per chiedere la fine dei combattimenti. A destare preoccupazione è soprattutto la quantità di persone, in rapida crescita, che fuggono in cerca di salvezza. Basti pensare che sono più di 740mila i rifugiati – compreso un numero crescente di persone che hanno fatto ritorno verso il Paese d’origine – arrivati in condizioni terribili nei Paesi confinanti, tra cui Ciad, Repubblica Centrafricana, Egitto, Etiopia e Sud Sudan. A questi si aggiungono gli oltre 185mila rifugiati ospitati dal Sudan, costretti a spostarsi verso zone più sicure del Paese, «intrappolati così in un ciclo incessante di spostamenti», denunciano dall’Unhcr.

L’escalation del conflitto a Khartoum e nelle regioni del Darfur e del Kordofan ha generato un ampio numero di sfollati interni e anche la morte e il ferimento di molti civili. Crescono anche le segnalazioni che parlano di gravissime violazioni dei diritti umani, violenze sessuali e altri rischi per la sicurezza delle persone in fuga. «Siamo particolarmente allarmati per la grave crisi sanitaria e alimentare in corso nello Stato del White Nile in Sudan, dove i team dell’Unhcr sul campo riferiscono della morte di circa 300 bambini rifugiati del Sud Sudan dall’inizio del conflitto, per sospetto morbillo e malnutrizione. Se i combattimenti persistono, temiamo che i numeri continueranno ad aumentare a un ritmo ancora più allarmante», commentano dall’Agenzia Onu.

L’Alto Commissario delle Nazioni unite per i rifugiati Filippo Grandi parla di numeri «sconvolgenti». Si tratta, spiega, di «civili che non hanno niente a che fare con questo conflitto e sono purtroppo costretti quotidianamente alla fuga dalle loro case e dai loro mezzi di sostentamento. Tutto questo – ha aggiunto – deve finire. È tempo che tutte le parti in conflitto mettano immediatamente fine a questa tragica guerra. In attesa che il necessario dialogo pacifico avvenga, alle persone deve essere consentito di lasciare le zone di guerra per cercare sicurezza, sia all’interno che all’esterno del Paese, e ricevere protezione da ogni forma di violenza».

Nel frattempo, con l’aumentare del numero delle persone in fuga, i punti di accoglienza per gli sfollati interni e coloro che si trovano nei Paesi confinanti stanno rapidamente raggiungendo il sovraffollamento. La stagione delle piogge, oltretutto, è in corso, e aggrava ulteriormente le sofferenze della popolazione, complicando gli spostamenti dei rifugiati dalle aree di confine. L’aumento vertiginoso dei prezzi del cibo e del carburante si aggiunge alle difficoltà che si abbattono su famiglie e individui già vulnerabili, mentre l’interruzione della catena dei rifornimenti e l’alto tasso di inflazione aumentano i costi dell’assistenza umanitaria.

In questa situazione, l’Unhcr, assicurano, «sta facendo tutto ciò che in suo potere per fornire assistenza salvavita ovunque sia garantito l’accesso. Insieme ai nostri partner consegniamo pasti caldi, acqua pulita, forniamo assistenza sanitaria e beni di prima necessità alle persone che vivono sfollate in Sudan e nei paesi confinanti. Stiamo anche fornendo protezione, compresi i servizi specializzati rivolti ai bambini rifugiati, alle persone sopravvissute alla violenza di genere, sostegno psicosociale e assistenza per la salute mentale, per aiutare le famiglie a riprendersi dai traumi subiti». I fondi che arrivano però non sono sufficienti. Dei 566 milioni di dollari Usa richiesti dall’Unhcr e da altri partner per il piano di risposta regionale per i rifugiati (RrpP), volto a fornire assistenza nei Paesi confinanti con il Sudan, ne sono stati ricevuti circa un quarto: il 24%. E la risposta inter-agenzia all’interno del Sudan è finanziata solo per il 23%.

La richiesta dell’Agenzia Onu allora è di un «maggiore sostegno da parte dei donatori, per poter assistere e proteggere le popolazioni colpite dal conflitto. Facciamo ancora appello per chiedere l’accesso sicuro per gli operatori umanitari, in modo che gli aiuti salvavita possano raggiungere tutte le persone che ne hanno disperatamente bisogno». Dall’inizio dei combattimenti in Sudan, nel mese di aprile, oltre 3,3 milioni di persone sono sfollate all’interno del Paese e oltreconfine. «L’Unhcr è grata ai Paesi limitrofi che lasciano i confini aperti per coloro che fuggono dal conflitto. Continuiamo a insistere perché tutti gli Stati rimuovano qualunque impedimento all’ingresso dei civili che scappano dal Sudan (compresi gli individui privi di documenti) in modo che possano avere accesso a protezione, sicurezza e assistenza». Prima della crisi, il Sudan ospitava 1,1 milioni di rifugiati, soprattutto provenienti dal Sud Sudan, dall’Eritrea e dall’Etiopia. Gli sfollati interni in tutto il Paese erano quasi 4 milioni.

25 luglio 2023