1° maggio, lavoro ed economia sostenibile nel messaggio dei vescovi

Il documento in vista della Festa. «L'emergenza sanitaria porta con sé una nuova emergenza economica. Nulla sarà più come prima». La riflessione sulla crisi e la responsabilità comune nel cambiamento

Muove dall’emergenza seguita alla diffusione del coronavirus il messaggio dei vescovi per la Festa del lavoro, il 1° Maggio, intitolato “Lavoro ed economia sostenibile”. A fare da “sottotitolo”, le parole del libro della Genesi: «Il Signore Dio pose l’uomo nel giardino di Eden,
perché lo coltivasse e lo custodisse». L’emergenza sanitaria in corso, osservano i presuli, «ci sta insegnando che le vicende dell’esistenza rimescolano le carte a volte in maniera improvvisa, rivelando la nostra realtà più fragile. Ci ha fatto comprendere quanto è importante la solidarietà, l’interdipendenza e la capacità di fare squadra per essere più forti di fronte a rischi e avversità». E porta con sé una nuova emergenza: quella economica. «Nulla sarà più come prima», è la convinzione dei vescovi: per le famiglie, «che hanno subito perdite umane»; per chi «è stremato dai sacrifici in quanto operatore sanitario»; anche per il mondo del lavoro, «che ha prima rallentato e poi ha visto fermarsi la propria attività».  Ancora, «nulla sarà come prima per i settori che sono andati in sofferenza e vivono l’incertezza del domani»: turismo, trasporti e ristorazione, mondo della cooperazione e del Terzo settore, agricoltura e settore zootecnico, e l’elenco è ancora lungo.

«È con questa preoccupazione nel cuore che ci apprestiamo a celebrare la Festa del 1° maggio di quest’anno». Nell’esperienza di un lavoro «in crisi»: in un sistema che, «quando mette al centro l’esclusivo benessere dei consumatori e la crescita dei profitti delle imprese», è già problematico per sua natura, «la crisi sanitaria e quella economica gravano sensibilmente sulla qualità e sulla dignità del lavoro». E si genera «una quantità rilevante di persone “scartate”». Il lavoro anche quando non manca, «spesso è precario, povero, temporaneo, lontano da quei quattro attributi definiti da papa Francesco: libero, creativo, partecipativo, solidale». Un problema, quello della qualità e della dignità del lavoro, che «si intreccia con altre dimensioni di insostenibilità tipiche dei nostri giorni». Anzitutto, quella ambientale.

Per i vescovi, «quello che l’attualità ci sta chiedendo di affrontare, senza ulteriori ritardi o esitazioni, è una transizione verso un modello capace di coniugare la creazione di valore economico con la dignità del lavoro e la soluzione dei problemi ambientali (riscaldamento globale, smaltimento dei rifiuti, inquinamento)». L’epidemia del coronavirus «ha rafforzato la consapevolezza della nostra debolezza con un drammatico shock che ci ha scoperti nuovamente vulnerabili e fortemente interdipendenti ciascuno dall’altro, in un pianeta che è sempre di più comunità globale». Di qui la richiesta di «misure di aiuto a famiglie e imprese che sappiano fare attenzione a proteggere tutti, soprattutto le categorie solitamente più fragili e meno tutelate come i lavoratori autonomi, gli irregolari o quelli con contratti a tempo determinato». Ancora, all’attenzione dei vescovi anche il tema delle condizioni sul luogo di lavoro, con particolare riferimento agli operatori nella manifattura, nel settore alimentare e della logistica, che «hanno assicurato anche nei giorni della crisi beni e servizi necessari per il resto del paese, lavorando in condizioni difficili e non sempre di sicurezza», ma anche agli «eroi di questa emergenza: il personale medico e sanitario, professionale e volontario».

Le emergenze dei nostri giorni, è la tesi dei vescovi, «sono la spia di un problema più profondo che riguarda l’orientamento della persona». L’orizzonte è quello dell’ecologia integrale della Laudato si’: «Abbiamo bisogno di un’economia che metta al centro la persona, la dignità del lavoratore e sappia mettersi in sintonia con l’ambiente naturale senza violentarlo, nell’ottica di uno sviluppo sostenibile». Non solo è possibile ma «è l’unica via che abbiamo per salvarci e per essere all’altezza del nostro compito nel mondo. È in gioco la fedeltà al progetto di Dio sull’umanità». La prima indicazione allora è quella di «curare la ferita dei nostri profondi divari territoriali», delle «diverse Italie», con regioni e zone vicine alla piena occupazione – «dove il problema diventa spesso quello di umanizzare il lavoro, vivendo il riposo della festa» – e regioni dove il lavoro manca e costringe molti a migrare. Ancora, «avere il coraggio di guardare alla schizofrenia del nostro atteggiamento verso i nostri fratelli migranti», sfruttati come forma quasi unica di manovalanza in molte aree del Paese. «Dobbiamo saper trasformare le reti di protezione contro la povertà – si legge ancora nel messaggio – in strumenti che non tolgano dignità e desiderio di contribuire con il proprio sforzo al benessere del Paese».

In questo cammino verso un lavoro degno può essere «preziosissimo alleato» la tecnologia. «In ogni epoca della storia umana le rivoluzioni tecnologiche hanno sollevato i lavoratori dalla fatica e da mansioni ripetitive e poco generative, aumentando la creazione di ricchezza con la tendenza a concentrarla nelle mani dei pochi proprietari delle nuove tecnologie. Sono state le politiche fiscali progressive a redistribuire la maggiore ricchezza creata nelle mani di molti, trasformandola in domanda diffusa e facendo nascere nuovi beni e servizi, attività, mestieri e professioni». Dunque, non è il progresso scientifico e tecnologico che “ruba” il lavoro ma «l’incapacità delle politiche sociali ed economiche di redistribuire la maggiore ricchezza creata».

Si tratta, in ogni caso, di un cambiamento che «non nasce con un atto d’imperio»: nelle parole dei vescovi, la «cittadinanza attiva» e «l’impegno di tutti noi in materia di stili di vita e di capacità di premiare con le nostre scelte prodotti e imprese che danno più dignità al lavoro» sono «una leva di trasformazione che rende anche la politica consapevole di avere consenso alle spalle, quando si impegna con decisione a promuovere la stessa dignità del lavoro». Una sfida, dunque, che «richiede l’impegno di tutti»: una «missione comune» da svolgere nelle diverse dimensioni del nostro vivere come cittadini, ,come risparmiatori e consumatori consapevoli, come utilizzatori dei nuovi mezzi di comunicazione digitali. «Questo chiede a tutti di dare un contributo alla costruzione di un modello sociale ed economico dove la persona sia al centro e il lavoro più degno. Così, senza rimuovere impegno e fatica, si può rendere la persona con-creatrice dell’opera del Signore e generativa».

8 aprile 2020